L'arresto in Bolivia e il rientro in Italia di Cesare Battisti sono stati un fatto mediatico fortemente enfatizzato. Il 14 gennaio, alle venti, in apertura del TG1 della sera, la speaker, sorridendo soddisfatta, ha annunciato "Il momento che tutti gli italiani aspettavano". Cesare Battisti è stato condannato all'ergastolo per quattro omicidi, due materialmente eseguiti e due "in concorso", perpetrati quando era membro dei PAC, Proletari Armati per il Comunismo. Le mie figlie più piccole, Maria e Teresa, hanno visto il film e mi hanno chiesto chi era quell'uomo. Ho cominciato a spiegare loro e la mia risposta è diventata un dialogo tra me e loro sulla giustizia, sulle leggi, sulla democrazia, sui diritti inviolabili della persona, ecc. ecc. Ho dovuto, per rispondere, informarmi sul caso. Non ne sapevo di più di quel poco che tutti sanno. Ho dovuto anche riandare con la memoria a quei tempi, gli "anni di piombo", che avevo vissuto in prima persona, anche se in modo del tutto marginale. Con un solo scopo: capire. Non ho nascosto a loro la mia ripugnanza per tutta la vicenda del rientro, per il clamore mediatico, per la volontà palese di "sbattere il mostro in prima pagina". Indipendentemente dalla colpevolezza di Cesare Battisti, si è trattato di un chiaro esempio di come il governo attuale dell'Italia, o una sua parte, non abbia vergogna di utilizzare le più miserabili tecniche di dominio dell'opinione pubblica: diffusione della paura e desiderio di vendetta. Un tempo i condannati li appendevano nelle gabbie e il popolo si sfogava insultandoli e colpendoli. Così si liberava per un po' delle sue paure e saziava momentaneamente la sua sete di vendetta. Oggi sono cambiati gli strumenti. Le paure sono telecomandate e la gogna è mediatica.