Sembra uscito dalle pagine dell'Adalgisa di Gadda, Giuseppe Palanti (1881-1946), uomo di gran temperamento, polemico e buono, milanesissimo pittore della borghesia conservatrice cui diede l'immagine di un mondo confortevole e rassicurante, fatto di belle donne, case dignitose, vacanze a Milano Marittima (la città giardino che lui stesso inventò), veglioni e balli mascherati, scintillanti serate a teatro, squisiti elisir. Per il suo pubblico Palanti approntò quadri, mobili, stoffe, costumi, ferri battuti, capi di moda, manifesti pubblicitari, villette con torretta (ma il suo catalogo comprende anche un «lanciasiluri» e i lampadari del «Palazzaccio» a Roma). Lavorò per Puccini, Mata Hari, Grazia Deledda, Pio XI, Mussolini ma anche con innumerevoli ragionieri, commercianti, marchese e soprattuto con giovani modelle. Nei grandi pannelli per le Esposizioni Universali di Bruxelles e Buenos Aires, come nelle cartoline per prodotti alimentari, Palanti ha praticato acluni dogmi milanesi quali la religione della tecnica, l'applicazione di un formidabile alacre mestiere, il primato dello stile sull'idea: le stesse norme etiche ed estetiche che lo avevano formato, giovanissimo, in quell'Accademia di Brera dove insegnerà per quarant'anni.