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“È vero, io non sono di questo mondo. Non lo sono mai stata. E
ogni cosa che ho fatto per appartenervi, anche la più atroce, alla fine mi ha
lasciato nello stesso posto, sola come sempre.”
In
una Montevideo moderna e scattante, Ùrsula López trascina le sue giornate lenta
e ansimante: sola, traduttrice, Ùrsula lavora da casa, con i suoni dei vicini a
infastidirla, un’assurda collezione di statuine da pulire, e tanto cibo in cui
rifugiarsi. Ùrsula è visibilmente sovrappeso, e conosce gli sguardi ironici dei
camerieri quando ordina troppo, conosce il sorrisetto delle commesse quando
cerca di entrare a fatica nei vestiti. Lei conosce tutto questo, e unisce
rancore e sofferenza, tramutandoli in abbuffate. A nulla servono le sedute
degli obesi anonimi, dalle quali esce rincuorata per un po’, per poi ricadere
nella desolazione della sua immagine allo specchio, nella fatica immane di
salire le scale, nell’insopportabile peso dei chili e di ricordi che fanno
male.
Una
sorella che è la sua nemesi, bella, magra, sposata e fortunata, la voce del
padre morto che la segue ancora, sprezzante e giudicante, il fastidio per
tradimenti del passato, e ombre che non è dato svelare: è questo mix che le
rende pesante l’esistenza, più dell’obesità, più del dulce de leche mangiato
senza freno.
In
questa esistenza grigia e depressa c’è una nota torbida. Ùrsula ha una capacità
allarmante di riconoscere i profumi della gente, e un gusto per il voyeurismo:
le piace osservare di nascosto le persone, spettatrice silenziosa di vite e
accoppiamenti che non sono i suoi.
<<Mi attraggono gli aspetti che la gente non mostra.
Guardarli quando non mi vedono. Vederli agire senza che si sentano seguiti.
Osservarli quando non fingono, quando non sanno di essere guardati.>>
<<Le piace spiare, Úrsula?>>
Poi
una sera arriva una telefonata che cambia tutto: c’è la richiesta di un
riscatto, il marito Santiago è stato rapito, e viene chiesto alla ex moglie di
pagare per liberarlo. È ovviamente un caso di omonimia, il numero che è stato
chiamato è quello della Ùrsula López sbagliata. Ma è un’occasione per vivere
nei panni di qualcuno altro, e sono panni che si sente bene addosso,
immaginando di poter essere per un momento una donna con una Mercedes, una
villa, un ex marito uomo d’affari.
Ùrsula
si prepara, come andasse a un appuntamento romantico, si veste si trucca ed
esce per conoscere il rapitore. Si troverà per sua scelta invischiata in una
storia di estorsione, incontrerà un sequestratore improvvisato che è disgraziato
come lei, e tirerà fuori il suo lato più oscuro.
“Sono fuori di me. È ovvio che sia fuori di me. Chi va in giro a
quest'ora di notte?, penso mentre mi vesto. Questo non mi entra, quell'altro
non mi piace. Finisco sempre per vestirmi di nero?”
La donna
sbagliata
è il romanzo che non ti aspetti, perché esce da qualsiasi paradigma del noir,
prima di tutto con la sua autrice, notaio di Montevideo: Mercedes Rosende è una
scrittrice insolita, dalla penna sorprendente, brillante, veloce, ironica.
Scrive con leggerezza una storia che ha le linee guida di un thriller ma un senso
del bizzarro che sterza continuamente, uscendo dai binari e creando continui
colpi di scena, usando l’umorismo anche in momenti potenzialmente drammatici.
Quello
che non ti aspetti è di fare il tifo per la protagonista, per la quale il
lettore finisce per avere non solo simpatia ma partecipazione, anche quando le
cose sembrano sfuggire di mano, anche quando si superano i confini del lecito.
Si sta dalla parte di Ùrsula, quella sbagliata, per gli altri e per se stessa,
anche quando si ingozza davanti al rapitore, quando non riesce a pensare ad
altro se non al fatto che lui è magro, quando si lancia nell’avventura, con la
dieta del minestrone, o una revolver in pugno, improvvisamente agile: le si
augura una rivincita, costi quel che costi.
Perché chi si sente inadeguato e oppresso in un mondo impietoso che
insegue la perfezione diventa subito eroe: Ùrsula López è un personaggio
riuscito e originale e La donna sbagliata
è un vero gioiello di mistero, divertimento e ironia.
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