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Lo sguardo dell’autore sulle proteste contro il divieto d’aborto in Polonia non le considera una vicenda essenzialmente polacca e dimostra che lo #StrajkKobiet fa parte di una rinascita globale del movimenti per i diritti attingendo alle sue pratiche organizzative e comunicative, arricchendo simboli e nuovi immaginari.
In un mondo globale l’organizzazione delle piazze sperimenta i social media più recenti per aggirare la repressione o sfuggire alle censure. Questo è avvenuto per rivolte con una forte presenza femminile: le vicine Bielorussia e Ucraina fino ai movimenti più lontani delle “Primavere arabe” e delle caceroladas
argentine, da Hong Kong a Gezi Park; #OccupyWallStreet, “Indignados”, piazza Syntagma… gli hijab bruciati in Iran.
Viene a crearsi, così, un cortocircuito tra l’occupazione indispensabile a una vera azione politica nelle piazze e i contenuti da condividere sui social. Da qui l’incessante creatività che saccheggia i linguaggi dell’arte visiva. «Le arti che non realizzano alcuna opera hanno grande affinità con la politica», sosteneva Hanna Arendt.
La Polonia appare come un esempio “all’avanguardia” della sospensione dei diritti fondamentali da parte della destra garante dei “valori tradizionali” e dell’ordine patriarcale contro cui le donne polacche hanno lanciato una sfida che non riguarda solo loro.
Alessandro Ajres è professore a contratto di Lingua polacca alle Università di Torino e Bari. Si occupa principalmente di letteratura polacca moderna e contemporanea, cui ha dedicato i suoi precedenti libri. Di recente, durante una borsa di ricerca per studiare i legami tra il rap polacco e la letteratura a Katowice, ha avuto modo di approfondire tematiche e modalità della protesta contro la nuova legge sull’aborto. Collabora con varie testate giornalistiche, tra cui: “Domani”, “Linkiesta”, “Vanity Fair”, “East Journal”, “QCode Magazine”.
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