09/01/2006
Di delirio777
5 stelle su 5
Cinquant’anni fa Italo Calvino, in prefazione al suo Il sentiero dei nidi di ragno, si poneva il problema della necessità di una letteratura volta a mostrare al pubblico l’esperienza bellica (e post-bellica) di chi aveva vissuto in prima persona la Seconda Guerra Mondiale.
Oggi come allora c’è bisogno di una letteratura delle esperienze, e Aureliano Amadei, con il prezioso aiuto di Francesco Trento, offre “a caldo” la sua vicenda, il suo spaccato della Guerra Invisibile in Iraq. Una guerra troppo spesso definita con eufemismi tanto cerebrali da sembrare perfino credibili: “guerra preventiva”, “guerra di liberazione”, “missione di pace” è l’evoluzione di una “guerra” (e punto) che nessuno vuole vedere. Guerra che Aureliano invece sbatte in faccia a noi, che abbiamo pianto (e forse per la prima volta gridato alla Patria) alla notizia dei nostri connazionali caduti in quel terribile attentato del 12 novembre 2003.
Nassirya. Aureliano Amadei è in Iraq insieme all’amico e collega Stefano Rolla (si ricorderà certo questo nome) per preparare il campo e “reclutare” attori per girare una fiction. Una semplice fiction. Si ritrova coinvolto in quella tragedia che è costata la vita a 19 italiani, senza contare le vittime irachene e i feriti da ambo le parti. Tra i quali feriti c’è proprio Aureliano, che ha riportato danni più o meno gravi a un occhio, alla spalla, al piede ma soprattutto al cuore: privato del caro amico, dei nuovi compagni, beffato proprio dal suo Paese, prima e, cosa più imbarazzante ancora, dopo la strage. Gli avevano detto che non c’era problema, in Iraq, che era zona ormai tranquilla. Gli hanno presentato semplicemente scuse ufficiali, davanti le telecamere delle TV nazionali, dopo. Nessun risarcimento. Solo apparenza.
Nasce principalmente dalla riflessione sull’ufficialità di questa (non)guerra, il bellissimo racconto di Trento e Amadei. Uno spaccato appunto, scritto col cuore e al contempo con disarmante ironia.
Un’ironia che, comunque, parla a ch