Con
Una rosa sola Muriel Barbery chiude la parentesi fantastica aperta con
Vita degli elfi e ci porta tra atmosfere che, grazie a tanta buona narrativa, stiamo imparando a conoscere sempre di più.
Una rosa sola è ambientato a Kyoto nei giorni nostri.
Protagonista è Rosa, che è davvero Una rosa sola: donna affascinante ma tremendamente triste, la francese Rosa si ritrova in Giappone per ascoltare le ultime volontà di un padre che non ha mai conosciuto.
Cresciuta infatti con la nonna e con una madre sfuggente e depressa, Rosa ha ereditato dalla prima la conoscenza dei fiori, al punto da diventare geobotanica.
Ma Rosa i fiori li studia, eppure non li vede.
Inizia a vederli e a riconoscersi in essi solo ora che si ritrova in una terra straniera, in una casa straniera, a seguire un uomo straniero e affascinante, Paul, che la porta a percorrere una serie di tappe studiate dal padre Haru per avvicinarla al mondo dei templi.
Una rosa sola è così una storia di rinascita, di abbandono della tristezza per un'apertura alla vita.
Rosa conosce il padre da morto e allo stesso tempo inizia a conoscere di nuovo sè stessa in rapporto al cerchio della vita: i templi giapponesi, le piante, i fiori, la sabbia dei giardini zen inizialmente la irritano e trova consolazione nel gusto del sakè.
Piano piano conosce la vita di suo padre Haru, celebre commerciante di arte, conosce l'inglese Beth e approfondisce la conoscenza di Paul, segretario fedelissimo di suo padre al punto da lasciare il Belgio per il Giappone.
Tutti loro hanno perso qualcuno eppure non smettono di vivere.
Come insegnano a Rosa in Una rosa sola, il Giappone può essere un luogo triste ma non ci si fa caso.
Forse perché l'armonia entra dentro per tracciare un nuovo solco dove lasciar fluire l'acqua, come quella che riga gli stagni dei tanti templi.
Una rosa sola è un romanzo di rinascita dalla scrittura profondamente sinestetica e ossimorica che porta il lettore a confrontarsi con la depressione, con la bellezza, con la vita e con l'amore.
Recensione di Stefania C.