“È importante essere pronti per il “momento decisivo” dice l’uomo accanto a me, parlando con la sua ragazza. Sono d’accordo. La differenza è che lui parla di fotografia del ventesimo secolo e io penso a ogni singola cosa del nostro secolo”.
Lizzie fa la bibliotecaria in un campus universitario, osservatrice dei personaggi, spesso curiosi, che ogni giorno incontra, durante il lavoro, al bar, nel tragitto verso casa. Lizzie è una donna normale, moglie di Ben e madre di Eli, casalinga non sempre all’altezza, alle prese con la spesa, e con il bucato che si stringe. Ma è attenta e generosa, e si prodiga per la mamma un po’ bigotta e per il fratello Henry, un ragazzo difficile, con un passato di dipendenza dalle droghe, e un eterno presente di dipendenza affettiva dalla sorella.
Una vita comune, resa fragile dalle difficoltà del mondo, resa accettabile dalle piccole routine, come il pensiero felice che Eli chiede prima di addormentarsi, la mano stretta in quella della mamma.
Un giorno Sylvia, amica di vecchia data, chiede a Lizzie di aiutarla nel suo lavoro: Sylvia è diventata una celebrità, tiene conferenze, seminari e un programma che ha chiamato Cascasse il mondo. Ci sono mail a cui rispondere, telefonate da gestire, appuntamenti a cui partecipare, podcast da ascoltare.
Lizzie si trova a destreggiarsi tra finemondisti, hippie e fricchettoni, imprenditori della Sylicon Valley: il mondo sta collassando, il cambiamento climatico sta conducendo alla fine, “il centro non può reggere”, ci si sta avvicinando al punto di non ritorno.
“Penso a quando Sylvia ha intervistato quel famoso futurologo. Gli ha chiesto cosa sarebbe successo e lui ha ripetuto la sua previsione più nota: Gli anziani, nelle grandi città, avranno paura del cielo”.
Accanto ai grandi progetti di ingegneria genetica, accanto alla visione di città galleggianti, accanto alla chimera dell’immortalità, c’è la paura delle persone normali, il cibo nei supermercati, il futuro dei figli. Quale luogo sarà più sicuro. È un’ansia che si insinua nella vita di tutti i giorni, nell’America di oggi come nel resto del mondo, spaventato dal domani, paralizzato dalla prepotenza del potere.
“È come appena prima che scoppi una guerra – dice. È una cosa strana, ma impari ad accorgertene. Anche quando le persone cercano di convincersi che andrà tutto bene, è nell’aria – mi spiega. Più fisico che mentale”.
Sylvia stessa, occupata a scrivere messaggi consolatori, obbligatori alle sue pubblicazioni, progetta piani di fuga in Nevada, Lizzie si ritrova a googlare “robe di sopravvivenza” come accendere il fuoco con la carta delle gomme di masticare. Si trasforma la paura in azione, in un contatto con gli altri, attraverso relazioni che sono un modo per trovare conforto, e che collassano anche loro, in un’atmosfera di urgenza che sembra sempre più minacciosa. Lizzie non trova più certezze, rischia di perdersi, vittima di sogni e dubbi angoscianti.
Jenny Offill racconta la paura del nostro tempo con frammenti di intuizioni, di dialoghi, di messaggi: una prima persona affannata e sarcastica, la cui voce si spezza in brevi riflessioni e racconti con momenti di acuto umorismo. Sono segnali di emergenza, le parole di Tempo variabile, testimonianze di caos, come tweet di un mondo normale che si accorge di non essere più sicuro.
“E se andassimo a fare una passeggiata? A camminare in strada? È impossibile. È a malapena possibile”.
Recensione di Francesca Cingoli