“The soul of genius is caritas”.
Definita da Albert Camus “il solo grande spirito del nostro tempo” Simone Weil fu un personaggio controverso e insolito sulla scena del pensiero. Simone “la Marziana” la chiamava per gioco il suo maestro Alain, riconoscendone il genio, una mente superiore agli altri membri della sua generazione, e al tempo stesso definendo una stranezza sua personale, una delicatezza mascherata e indurita dai grandi occhiali. Simone creava inquietudine, rompeva gli equilibri, generando ostilità o idolatria.
Assillata dall’idea dell’oppressione dell’individuo da parte della collettività, non mancò mai di rivolgere le sue riflessioni alla pari dignità degli esseri umani, dimostrando una evidente attenzione a “quelli di sotto”, e legando la sua vita e il suo pensiero a quello degli emarginati.
“Sin dall’infanzia, le mie simpatie si sono rivolte verso quei raggruppamenti che si richiamavano agli strati disprezzati della gerarchia sociale”.
La partecipazione non era scevra da ragionamento e da quello che per anni è stato definito il suo dolorismo: l‘idea che la sofferenza e la sventura degli ultimi fossero un accesso privilegiato alla verità sulla condizione umana. Il suo fu un omaggio alla sventura come chiave di conoscenza, anche della bellezza.
L’importanza del sapere e della cultura per chi ne era escluso: Simone Weil credeva fermamente nella necessità di insegnare i rudimenti della matematica, come urgenza di un’educazione operaia (“L’uomo ha bisogno della scienza”). I suoi sono assunti di vibrante attualità: “Quando qualcosa abbassa l’intelligenza, degrada ogni uomo”.
Questa nobiltà del sapere e della scienza, questa componente profana, si unisce in Simone Weil, e in lei sola a un senso spirituale e mistico: studiosa di pensiero indiano, ma anche di taoismo e di buddismo, definì un pensiero religioso senza confini e senza etichette, dove le confessioni finiscono per confondersi.
Quello che emerge è il ritratto di una donna la cui forza intellettuale era nutrita da rigore scientifico e da intransigenza, che ne hanno fatto una figura di eccessi , al punto da essere temuta. Florence de Lussy, la sua studiosa più esperta e accreditata, che ha dedicato la sua vita al pensiero di Simone Weil, riesce a rendere semplice un percorso complesso e articolato, con un saggio che traccia le tappe di una meditazione che ha unito carità fervente a libido sciendi, l’empatia per gli ultimi alla passione per la matematica, una “specie di poema mistico composto da Dio stesso”.
Senza retorica, con una sobrietà che contrasta con lo slancio della passione, Simone Weil è una pensatrice unica, inclassificabile, a tratti scomoda, che non può lasciare indifferenti. Una filosofa mistica che, riconosce la de Lussy “proietta sulle ombre tormentate del suo tempo una luce violenta”.
Una luce necessaria, oggi come allora, e a portata di ogni lettore.
Recensione di Francesca Cingoli