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“Sembrava che quassù la storia non arrivasse. Era un'eco che si perdeva. La lingua era il tedesco, la religione quella cristiana, il lavoro quello nei campi e nelle stalle. Non c'era da aggiungere altro per capire questa gente di montagna di cui fai parte anche tu, se non altro perché ci sei nata.”
Di Curon Venosta oggi resta solo il campanile che affiora dall’acqua del lago artificiale. Una curiosità per turisti, un’occasione di selfie d’effetto, la spensieratezza delle vacanze. Ma pochi conoscono la pagina di storia che è stata scritta in questi luoghi, così evocativi di bellezza, custodi di profondo dolore.
Quella del Lago di Resia e degli abitanti di Curon è una testimonianza inascoltata che Marco Balzano riporta alla memoria attraverso un romanzo che sovrappone alla storia di quel piccolo paese quella dell’Alto Adige – Südtirol. Lì si sono succeduti fascismo e nazismo, con vicende penose ma utili da raccontare.
Resto qui racconta di una terra incastrata sull’orlo del confine svizzero e austriaco, e di un paese che non c’è più, inghiottito dall’acqua, attraverso una vicenda intima e umana, quella di Trina e di suo marito Erich.
Scritto in forma di diario per la figlia lontana, il romanzo vede in Trina una donna forte e determinata, capace di resistere alla fatica del lavoro, alla paura, al freddo, al dolore. Resistere è la parola di questa storia, ed è sinonimo di restare.
La dignità del lavoro e l’attaccamento alla terra sono le leve con cui fare resistenza, in un mondo in cui vivere significa tirare avanti, soprattutto quando il fascismo arriva e annulla tutto, anche le parole. Mussolini mette al bando il tedesco, l’italiano è imposto con la forza, e Trina, che vuole fare la maestra, si riduce a insegnare in scuole clandestine, e a imparare l’italiano, la lingua dell’odio e del sopruso, perché capisce che solo così ci si può difendere. Le parole sono un’arma di difesa.
“Ma non lo vedete che diavolo sta succedendo? - sbottava seccata. Curon, Resia, San Valentino... da quando ci sono i fascisti niente è più nostro. Gli uomini non vanno all'osteria, le donne camminano rasenti ai muri, la sera non gira un'anima! Come fate a farvi scivolare tutto di dosso?”
Clandestini a casa loro, i tirolesi non possono lavorare: il lavoro viene dato ai coloni italiani, che arrivano con le loro valigie e il naso all’insù a guardare montagne e nuvole. Intanto, l’inganno del nazismo promette una liberazione che non convince tutti.
Restare o andare via è il dilemma che spezza in due il paese, che definisce chi si rassegna e chi tradisce. Alla fine molti di quelli pronti a partire per la Germania restano, attoniti di fronte alla furia e alla follia, alle bugie della propaganda.
Trina e il marito lasciano il loro maso quando Erich diserta: il loro nascondersi è una lotta contro la fame e il gelo, ma anche un’esperienza fortissima di solidarietà e di aiuto. “Neanche oggi siamo morte” è la frase che le donne si ripetono, un motto di speranza e di sopportazione.
“No, non meriti di conoscere quei giorni di buio. Non meriti di sapere quanto abbiamo gridato il tuo nome. Quante volte ci siamo illusi di essere sulla strada giusta. È una storia che non ha ragione di riaccadere nelle parole. Ti racconterò invece della vita di noi, del nostro essere sopravvissuti.”
Bastardi i fascisti che li avevano trascinati in guerra, bastardi i nazisti, che non li hanno salvati e li hanno messi uno contro l’altro: alla fine italiano e tedesco sono diventati muri, lingue trasformate in dichiarazioni di guerra.
Quando la guerra finisce, Curon e la sua gente affrontano la minaccia più subdola, quella del progresso: la Montecatini porta avanti il progetto di costruzione della diga. Un bacino artificiale per la produzione dell’energia elettrica, sempre più vicino, sempre più pericoloso, perché all’inizio sembra non riguardare le case, poi arriva la verità: le baracche per gli abitanti, l’esproprio, i masi fatti saltare in aria e l’acqua che si alza inesorabile.
Trina, che crede che le parole possano salvarla, e smuovere le montagne, lotta e si difende insieme agli altri, sull’argine della diga, con un attaccamento disperato e un dolore familiare. Ma andare avanti è l’unica direzione concessa.
E oggi quel campanile, simbolo di un progresso che inghiotte gli ultimi, è una calamita per curiosi, mentre resta la rabbia per una storia violenta e una brutta pagina di incuria, ma insieme anche una grande lezione di resistenza, di attaccamento alla propria terra, e la consapevolezza che, sempre, le parole non sono solo importanti, ma necessarie.
Resto qui di Marco Balzano è un romanzo potente, una storia di coraggio, una testimonianza preziosa: si legge con il cuore in gola e una profonda gratitudine.
“Bisognerebbe saper interrogare le montagne per sapere quello che è stato.”
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