I dispositivi digitali oggi più diffusi limitano i nostri spazi di autonomia, ci sottraggono tempo ed energie, riducono le persone a profili mercificati. In un contesto del genere è sempre più urgente sviluppare strumenti educativi e autoeducativi capaci di aprire nuovi spazi di consapevolezza e libertà. Per ridurre l'alienazione tecnica, la pedagogia hacker ci propone di indagare le nostre relazioni con le tecnologie, guardando dietro lo schermo per riconoscere le dinamiche oppressive e sperimentare pratiche di immaginazione liberatoria. È un approccio critico e creativo che procede per attivazioni grazie alle quali gli schermi incontrano i corpi, la tecnologia è interrogata anche attraverso l'arte, il teatro, la poesia, e il gioco torna a essere spazio di emancipazione. Questa esplorazione invita a costruire relazioni appropriate con il digitale, rivolgendosi in particolare a chi educa e insegna, a chi si cura della psiche, a chi fa arte, a chi lavora con la tecnica, ma anche a chiunque sia alla ricerca di pratiche concrete per decolonizzarsi e abitare la tecnologia con un'attitudine conviviale.