Ha venticinque anni, il protagonista di Naif.Super, e nessuna idea della direzione che deve prendere: un giovane sopraffatto dalla paura di affrontare la vita, preda del nulla proprio di chi improvvisamente si scopre adulto, e non è pronto.
Meno male che ha disposizione per qualche tempo la casa del fratello, che è a New York per lavoro. Uno zaino e un paio di scatoloni, tutta la vita di un venticinquenne che interrompe gli studi, compra qualcosa da mangiare e si chiude in casa. Giornate di silenzi, di vuoto, la ricerca di un perché, di un qualcosa da fare.
È un ragazzo che trasmette una tenerezza disarmante, questo bimbo grande che gira per casa e spera che qualcuno gli trovi un lavoro, gli indichi una strada, un bimbo grande che rimugina, in una depressione che non è cupa, ma piena di pensieri e di liste. Le cose che ha e che non ha. Ha un paio di scarpe da ginnastica, non ha un orologio.
Le cose che gli danno gioia sono elenchi straordinari da faxare all’amico Kim. Che risponde con quintali di carta dove scrive qualunque pensiero. Solitudini alla ricerca di un porto sicuro.
Kim è l’amico buono, poi c’è quello cattivo, Kent, che giudica, racconta storie troppo esplicite di ragazze, uno spaccone che mette a disagio.
Per sopravvivere al silenzio ci si rifugia nei pensieri belli, che sono terapie.
“Me ne sto seduto a rimuginare su quali siano gli oggetti che rispondono ai miei desideri.
Possono essere parecchi, ma io voglio una cosa sola.
Di colpo capisco che quello che cerco è un pallone.
Un puro e semplice pallone. Sento una fitta di entusiasmo.”
Un pallone da far rimbalzare contro il muro, una bici per girare, un banco da falegname giocattolo che è un esercizio mentale e fisico: martellare fa bene, sembra un significato da dare alla giornata. E allora questo ragazzo stralunato che pensa troppo si sfoga martellando, per ore. Quando incontra un bimbetto che abita nel palazzo, Børre, trova un amico, una dialettica che è ironicamente paritaria, vent’anni di differenza che diventano sfida e complicità, in pagine gustosissime.
È grazie a lui che incontra Lise, una ragazza. Perché l’amore è tutto, a venticinque anni, a qualunque età.
L’amore fa trovare sé stessi, e rinnova la purezza della scoperta con semplicità. Basta una telefonata.
“Quando abbiamo finito di parlare, mi sdraio sul divano e sorrido. È esattamente come se avesse smesso di piovere. Come se avesse piovuto e piovuto e poi finalmente avesse smesso. E tutto ha un profumo intenso e il colore degli alberi è di ogni sfumatura di verde.
È così strano con le ragazze.”
Così si trova un possibile equilibrio, nonostante Einstein, nonostante la relatività, e la scoperta che il tempo non esiste: un libro dello studioso Paul lo mette in agitazione perché gli sottrae certezze e lo fa sentire fragile in un mondo che, scopre, è assolutamente transitorio.
Quando arriva l’invito del fratello a raggiungerlo a New York per una settimana, è panico. Ma si prepara la valigia, si prende il banco da falegname e si va.
Naif.Super è un gioiello di ironia, che dietro l’apparente semplicità nasconde una riflessione profonda sulla fatica di crescere, e di affrontare la vita. Viene voglia di abbracciare il protagonista, splendida creazione moderna della crisi d’identità, rassicurandolo che ce la si fa, se non ci si complica da soli. Con coraggio e un po’ di leggerezza: a troppo pensare si finisce per non vivere, si perde la prospettiva.
“La prospettiva è una di quelle cose che si dovrebbe poter comprare e somministrare per via endovenosa.”
Recensione di Francesca Cingoli