“La loro relazione era stata un susseguirsi di bugie e rivelazioni di quel genere. Gli era sembrato di imparare a conoscere Claire verticalmente; di precipitare attraverso una serie di strati, che cedevano l’uno dopo l’altro, in successione, come i piani di un edificio in fiamme.”
Leggere Frances Leviston è abbandonarsi a un viaggio introspettivo che attraversa stanze buie, corridoi infiniti, soffitte piene di ricordi. La voce dentro è un lavoro riuscito di frammentazione e ricomposizione dell’Io, nasce come raccolta di racconti ma invade la dimensione del romanzo: chiamando Claire tutte le protagoniste delle sue dieci storie, la Leviston riesce a disegnare una coesione emotiva e esistenziale mantenendo indipendenza e caratterizzazione di ogni singola storia. Somiglianze nella diversità, e poesia nella narrazione: è ben definita la cifra di Frances Leviston, che nasce come poetessa e i cui racconti sono nitidi e grotteschi, quotidiani e fantasiosi, ordinari e horror.
Claire è una giornalista alla sua prima esperienza televisiva, una babysitter inadeguata, una figlia alle prese con la confezione di un abito o con una badante robotica, una fidanzata il cui diario rivela un’altra sé.
Frammenti di esistenza che nel loro complesso disegnano la difficoltà delle relazioni, l’impossibilità di comunicare tutti i propri volti, le proprie aree buie, con note taglienti e acute che conducono a comuni denominatori intimi e sociali. Il risultato è multiforme, e le intromissioni fantastiche aggiungono una nota di inquietudine a racconti che si concentrano sulla vita, normale, della classe media.
Nelle tante versioni di vita che la Leviston racconta, ci sono voci che conducono fuori strada, che illudono con l’idealismo e poi fanno sbandare nel cinismo. Non sono tutte simpatiche le Claire de La voce dentro, ma sono tutte terribilmente vere.
“Claire ricordava anche questo: il cielo coperto e ventoso del viso di sua madre, che costringeva tutti, i figli e anche il padre, a ripercorrere furiosamente qualsiasi cosa avessero appena detto, a riprendersela, a riassorbirla.”
Un mosaico complicato, il racconto della femminilità, contemporanea e libera: la Leviston graffia ed è un’osservatrice fine. Le dieci Claire sono il risultato di infanzie infelici, di ipocrisie familiari, di rapporti abrasivi, cercano la loro voce interiore, e con lei una guida, anche infida.
Alla base, aggressivo e prepotente, il tema del rapporto madre e figlia. Le madri de La voce dentro sono personaggi difficili, invadenti, personalità forti che hanno lasciato segni nella crescita sentimentale delle figlie. Il tema della responsabilità genitoriale investe trasversalmente la narrazione e irrompe con rabbia, con note divertenti accanto a note mostruose.
I frammenti di donna che emergono sono la matrice di relazioni tra figlie problematiche e madri ingombranti: incapaci di approdare a comunicazioni vere, a dialoghi costruttivi, si mascherano dietro a burattini, si assolvono con un robot, tornano ad autoaffermarsi con un orlo cucito, sono arrabbiate e rassegnate insieme.
“Ecco cosa ricordava Claire: era sempre stata trattata così da sua madre, maneggiata in maniera esperta e disumana, come una povera bambina con il sistema immunitario irreparabilmente compromesso che trascorre i suoi ultimi giorni sotto una tenda di plastica urlando dalla voglia di un abbraccio; come se sua madre fosse consapevole di possedere il tocco della morte.”
Precisa nell’insinuarsi nelle piccole crepe delle esistenze ordinarie, che sono le nostre, Frances Leviston si mette in gioco con coraggio, riesce con originalità e forza a delineare un’analisi profonda di noi stessi, dei nostri irrisolti, delle nostre difficoltà, di essere noi stessi in mezzo agli altri, e soprattutto noi stessi davanti allo specchio. L’impatto emotivo del libro è fortissimo, e ci disarma di ogni certezza: andiamo avanti, accettando le responsabilità, prendendoci cura degli altri, perché una donna lo fa per natura, spesso rovinando tutto nel nostro cammino, facendo casini indecifrabili, nascondendo diari e desideri, con il nostro carico di delusioni, accogliendo le voci interiori, e recitando la vita, con tante maschere e qualche burattino.
“Claire è stata ipnotizzata? È di questo che si tratta? Perché in lei si dispiega un ricordo, un ricordo mai emerso prima, sua madre in ginocchio in giardino con un paio di forbici, e una fila di maestosi iris recisi che cadono, l’uno dopo l’altro. Appena atterrano, i petali, cuori e lingue, continuano a fremere.”
Recensione di Francesca C.