In "La veglia del sangue" in qualche modo i due morti del racconto, Matteo Trotta e Francesco "Cesco" Schettin, "parlano" a Francesco Tunda, colto indagatore e di fatto medium (nel senso che media a beneficio dei vivi la memoria dei morti). Il primo, Matteo, dalla sua tomba attraverso chi l'ha conosciuto, principalmente dalla madre, come da epitaffio fatto incidere sulla lapide tombale «(...) tua madre sola sa ancora che hai vissuto»; il secondo attraverso il padre e chi l'ha ucciso.