Una donna, probabilmente fiorentina, compone tre soli sonetti (o, almeno, questi sono giunti fino a noi) e scardina le teorie letterarie dei benpensanti che vogliono e hanno voluto per secoli che ciò che era poesia fosse proprietà esclusiva degli uomini, intesi come maschi. Come accade per chiunque abbia lasciato, nell'arte, una impronta indelebile, la sua vita e la sua biografia terrena sono cosparse di dubbi e di incertezze. Probabilmente fu assai longeva, se collochiamo la sua storia umana tra il 1200 e il 1300. Probabilmente, ma non lo sappiamo con certezza. Della vita letteraria da lei rappresentata, evinciamo che si identifica attraverso un nome fittizio, un senhal, come avrebbero detto i poeti provenzali. Compiuta in quanto "perfetta", dunque, e donzella in quanto si riferisce al periodo della propria gioventù, quello in cui dovette andare, secondo quanto riferisce, promessa sposa per volere del padre contro la propria volontà di "Dio servire". Ma sono maschere, finzioni, artifizi, raggiri per prendere per il naso il fruitore dei suoi "soli" quarantadue versi. Così come ha fatto sfidando la presunta dominazione letteraria maschile e ponendosi in tenzione con quello che con quasi certezza dovette essere nientemeno che Chiaro Davanzati, nel terzo ed ultimo dei suoi sonetti. La poesia è servita.