Un homme qui ne joue pas c’est comme un homme qui ne s’est jamais marié – c’est a dire un petit con.
Lord Doyle è un inglese poco Lord e molto truffatore di vedove: avvocato, è costretto a scappare dall’Inghilterra, lasciandosi alle spalle un fattaccio, e si rifugia a Macao.
Lord Doyle è un giocatore di baccarat e a Macao trova la sua dimensione ideale di gioco, ossessione, e invisibilità. Tra le sale fumose dei casinò, le suite d’hotel, le strade della città, i ristoranti di lusso, il gioco è sempre presente, e striscia sotto pelle come una minaccia costante, e una tentazione che dà estasi.
Perché il baccarat ha il brivido della velocità, è sciagura fulminea. Nel mondo dell’azzardo non esiste nulla di simile, è per veri temerari.
“E’ un gioco circondato da possibilità minacciose: la morte immediata, che arriva ancora più in fretta che col poker o la roulette. È per questo che mi piace. Non restano illusioni. Si muore nella ghigliottina.”
Lord Doyle si presenta al tavolo da gioco elegantissimo, abiti di sartoria, fiore all’occhiello, guanti di capretto per scaramanzia e per vezzo. Beve champagne, e gioca forte. Perde tanto, e arriva anche il momento in cui perde tutto, con gusto, con soddisfazione, perché è lì dentro il senso di tutto. Lo Yin e lo Yang del gioco è scuoiare e essere scuoiati, nello stesso giorno, nella stessa ora, in un mix inscindibile di sadismo e masochismo.
È l’enigmatica e delicata prostituta Dao-Ming a salvare Lord Doyle, curarlo nel corpo e nell’anima e rimandarlo indietro, dignitoso, soldi in tasca, pronto a ricominciare. Perché per Lord Doyle, come per gli altri affamati come lui, “È sempre troppo tardi per cambiare”. Si mette tutto sul tavolo da gioco, una sola puntata, la bocca secca, la pelle gelata.
La ballata di un piccolo giocatore è un romanzo che trasuda la natura equivoca di un mondo sempre in bilico tra trionfo e dannazione, nel quale la dimensione psicologica del giocatore si trasmette con violenza al lettore, che ne viene travolto e anche ammaliato. Ma è forte anche la componente orientale in questo romanzo, il fascino dell’esotico che si trasferisce in un sapore di soprannaturale e di mistero che pervade gli spazi del gioco, le moquette silenziose, le suite con le finestre bloccate per dissuadere i disperati. La superstizione ha le fattezze di un fantasma, di una possessione che porta a vincere, e a vincere in una successione mai vista. È in quella successione, che è ambigua e miracolosa, che si esprime l’irrazionale della vita.
“Nella vita non c’è niente di razionale. La vita non è razionale. È animale.”
Recensione di Francesca Cingoli