Guidato dal suo «istinto per il particolare», per circa venticinque anni Brian Dillon ha trascritto nei suoi taccuini frasi di qualsiasi libro leggesse. Andava «a caccia di eclissi: quei momenti di lettura in cui la luce cambia, una lucentezza più scura prende il sopravvento, le cose (le parole) sembrano farsi di colpo opache, anche nella più semplice tra le frasi, e ti accorgi di dover guardare due volte, o più di due volte». In "Inseguendo eclissi" Dillon raccoglie una selezione di quelle frasi e a ciascuna dedica uno scritto, un'indagine di stili, voci, vite, inevitabilmente intrecciata con la propria visione di lettore. Racconta lo stupore di fronte a una frase di Virginia Woolf che all'improvviso vira verso una conclusione grammaticalmente sbagliata; la meraviglia davanti agli «O, o, o, o» che Shakespeare ha fatto pronunciare ad Amleto, Otello e Lady Macbeth, racchiudendo il mondo in una serie di vocali; o ancora di come Vogue divenne la fucina della scrittura di Joan Didion. In questa caccia alle eclissi, sulle tracce di quella che Dillon chiama affinità - probabilmente una declinazione della parola «amore» -, il trofeo, se trofeo si può dire di qualcosa di inafferrabile, è capire come e perché una frase funziona, che cosa significava quando è stata scritta, che cosa significa oggi e che cosa significherà domani. Che cosa significa, infine, la letteratura.