«Ho ucciso il tu / senza raccogliere i cocci / squamata di silenzi / come carta vetrata / passata sul cuore / Ho ucciso il tu / ripulendo l'orizzonte / con un colpo di spugna.» Si conclude con questi versi lapidari, che non lasciano margini all'interpretazione, la silloge poetica di Silvia Sinibaldi. Sono parole amare, cariche di rimpianto ma prive di risentimento, a chiusura e suggello di quel cerchio immaginario che l'autrice aveva aperto nella prima pagina rivolgendosi anche in quel caso, e più volte andando avanti, a un 'tu' indefinito, astratto ma profondamente umano - o disumano, se si preferisce -, che lascia dietro di sé una scia di dolore e frustrazione. Con un gesto impetuoso e perentorio quel "tu" viene spazzato via, ed è salvifica questa volontà di liberarsi di ciò che fa male, voltare pagina e riappropriarsi di sé, come dimostrano gli ultimi tre versi, nei quali con un improvviso cambio di rotta il tono si alleggerisce, apre squarci d'azzurro, e quasi ci pare di respirare a pieni polmoni una boccata d'aria fresca portata dal mare: «Ma il mare è il mare / e nuotando mi assale / una grande fierezza». (Dalla postfazione di Guido Spaini)