“L’una dopo l’altra si ac¬cesero le stelle. Le serate in agosto non sono più chiare e sfumate di verde, ma scure e azzurre.”
C’è odore di erba tagliata, ne Il pozzo di Regina Ezera. C’è il tonfo delle mele che cadono, il frinire dei grilli, il rumore dei fiotti di latte nel secchio. C’è l’alito caldo del lago che accoglie il medico di Riga Rūdolfs, una breve vacanza con la prospettiva della pesca.
È estate nella campagna baltica, e un torpore avvolge le case attorno al lago, edifici vecchi, apparentemente abbandonati tra licheni e lillà. A una di queste, casa Tomariņi, Rūdolfs si avvicina per chiedere in prestito una barca. Lì in una rimessa piena di legna incontra Laura, intenta nel suo lavoro. Laura è a piedi nudi, i pantaloni consunti, i capelli color rame legati da un elastico: è una donna soffocata dalle tensioni di casa, dal ricordo di un uomo lontano, e da un’infelicità sommessa. Il marito di Laura è in carcere e lei, resa dura e sfuggente dalla solitudine e dalla responsabilità, si occupa di tutto, vivendo con i due bambini, la suocera, la cognata, in un clima difficile nel quale incombe la figura assente di Ričs.
Rūdolfs è affascinato dalla silenziosa e enigmatica bellezza di Laura, che ha silenzi tormentati e profondi che non possono essere riempiti, e capelli che profumano di fresco come i panni di lino asciugati all’aria. Rūdolfs diventa un frequentatore abituale della casa, amico dei due bambini, una compagnia gradita per la famiglia.
Ne Il pozzo di Regina Ezera, ci sono camminate sotto i temporali, con i piedi freddi nel fango e mani calde che si cercano per un istante, falene rosa , rami di gelsomino che sbattono sui vetri nel vento, e notti in mezzo al lago, lo sciabordio a cullare e una luce accesa nel buio in casa Tomariņi, un faro a cui guardare, e c’è il passato che “era come un cadavere, non si poteva cambiare né correggere, bisogna-va solo lasciare che restasse sepolto…”.
C’è profumo di marmellata appena cotta, il fumo della stufa che tira male, l’alito della sauna che è l’odore del sabato sera nordico, e il sapore lontano della storia, dei suoi delitti, un bicchiere di vodka per dimenticare le beghe del kolchoz e i problemi dei contadini.
Il pozzo è un romanzo raffinato, di eleganza struggente, un racconto di solitudini che si cercano e di amori possibili: c’è la finezza psicologica che sa far affiorare la forza del desiderio e il dolore del ricordo, e c’è l’intensità poetica che restituisce scenari e atmosfere, in una natura viva e incantevole che dialoga con l’animo. Uno dei capolavori della letteratura baltica.
“Un richiamo echeggiò ancora dal lago. Le anatre chiacchieravano tra le canne, nemmeno in quell’ora tarda e tranquilla trova¬vano pace.”
Recensione di Francesca Cingoli