Mezzo di sostentamento, modalità di realizzazione dei propri talenti, veicolo per esercitare appieno una cittadinanza consapevole: finora era semplice definire il valore e il ruolo del lavoro. Ora tutto sta cambiando: la centralità del lavoro, il valore del tempo e della retribuzione, la scala delle priorità. È una rivoluzione sociale prima ancora che economica e probabilmente culturale. La pandemia ha cambiato il modo di lavorare ma ha indotto una percezione nuova del valore lavoro: non il lavoro per vivere, né tantomeno vivere per lavorare, ma piuttosto cercare un lavoro che abbia significato per sé e per la società. Resta il fatto che il lavoro intreccia il rapporto tra le generazioni, lo scambio dei saperi, la dialettica dell'innovazione, la cultura della gerarchia, il rapporto tra talento e necessità sociali: non è una semplice attività umana. Rimane la quintessenza dell'essere umani. In questo dialogo tra il giornalista e il giuslavorista il lavoro diventa così l'occasione per discutere sì di nuove regole, di diritti, di nuove o vecchie discriminazioni, ma anche di ciò che sta velocemente mutando nel costume sociale, nelle nuove parole d'ordine.