«Ho sempre abitato a Cadenabbia, un paese affascinante ma lugubre sul lago di Como, in cui non tornerò mai».
Invece Cristina Marinoni, ex criminologa, a Cadenabbia deve tornare, a malincuore, per la morte improvvisa dello zio Francesco, che aveva amato tanto da ragazzina.
Ad accogliere lei, il marito Lorenzo, e il piccolo Leone è il padre Alessandro, anziano orologiaio, nella casa dove Cristina è cresciuta e dove ha sepolto segreti e dolori. Una vita all’ombra dei “padroni” i Radlach, proprietari della Villa degli Orologi, dove la madre faceva le pulizie e il padre si occupava della collezione di preziosi meccanismi.
Dopo la morte della madre, Cristina era scappata da quel paese sul lago, dove tutto è rimasto immobile, almeno in apparenza. Ma certi luoghi non si abbandonano, nemmeno andandosene. E Cristina si ritrova immersa nelle atmosfere misteriose e minacciose della famiglia Radlach, impaurita come da bambina delle leggende del lago, con dame bianche, e mostri che affiorano tra le acque scure.
Ci sono gli eredi della potente dinastia, Odessa e Riccardo, che la tormentavano da piccola, la “pezzente” figlia della domestica, e riprendono a farlo, uguali ad allora, e c’è l’immagine dolce di Nicholas, il primo amore.
«Ma ricorda una cosa» le urlò dietro suo padre, la voce rotta per il dolore, «il passato ti verrà sempre a cercare, ovunque andrai.»
Frugare tra i ricordi dell’infanzia fa male, e in quella casa, nella polvere della soffitta, affiorano oggetti mai visti, che racchiudono una nuova versione della realtà.
La morte della madre Angela, quella di Nicholas e quello dello zio Francesco: sono suicidi, incidenti in riva al lago, cadute accidentali, o sono stati assassini? Quel lago così oscuro, e reso maledetto negli anni, nasconde gli incubi della vecchia e malata Miriam, ma anche vortici inimmaginabili che la comunità ha messo a tacere.
Cristina, che aveva abbandonato la professione in seguito a un’indagine finita male, sente riemergere insieme alla paura, all’ansia e al sonnambulismo, la passione per il mistero e il crimine, e indaga.
Tra un pendolo antico e un orologio da taschino che libera voci e rivelazioni, i segreti celati per anni vengono in superficie.
«Tutto questo ticchettare non serve che a uno scopo: farci capire quanto siamo impotenti. »
I cuori non si aggiustano con la stessa facilità con cui si ripara un orologio, e il viaggio di Cristina attraverso i ricordi è doloroso: rovistare tra le vecchie carte, aprire cancelli chiusi, scovare passaggi nascosti è pericoloso. Per anni le case hanno taciuto, tenendo segrete le loro memorie, in un silenzio complice travestito da gioco; rivelarne la verità avrebbe condannato molti alla miseria dei propri delitti.
Il gioco del silenzio non è solo un thriller fatto bene, costruito con maestria come un meccanismo sofisticato di un orologio: Rob Keller regala atmosfere cinematografiche di un lago dannato e misterioso, di case piene di meraviglie e di orrori, scalini che scricchiolano, pannelli che scorrono, occhi che si aprono nel legno di un pendolo.
Cupo e affascinante, Il gioco del silenzio è un romanzo di grande eleganza, dove i misteri si svelano come un rompicapo della memoria, che tira brutti scherzi, fa rammentare l’insignificante, cancella i ricordi più importanti. Sopravvive solo chi riesce a tacere.
«Shht. Se parli hai perso».
Recensione di Francesca Cingoli