Se, come sosteneva Alexander Pope, lo studio dell'umanità è essenzialmente studio dell'uomo, ne consegue che un viaggiatore che si rispetti dovrebbe essere più interessato agli abitanti del paese visitato che al paese stesso. Raramente accade, vuoi per la differenza della lingua, vuoi per quella culturale, e anche quando si superano queste barriere, si è a corto di soggetti di conversazione. Ci si può parlare a gesti come succede a Harriet Martineau, ma due ore di conversazione gestuale possono sembrare incredibilmente lunghe, oppure si può imparare il tono della comunicazione in cinese, che rischia però di suscitare risate imbarazzanti. Tuttavia, volenti o nolenti, si è costretti a vivere spalla a spalla con gli indigeni, e sono loro il soggetto di questo libro. In qualche caso non sono nativi nel senso stretto della parola, o meglio, se lo sono, sono talvolta figli di coloni che non si sono mai integrati, come la famiglia inglese dei Trawnbeigh descritta da Charles Macomb Flandrau, un americano in visita nella loro fattoria in rovina nella campagna messicana. Come diceva Karl Baedeker, il primo autore e editore di guide di viaggio (1827) nei suoi consigli ai viaggiatori in Oriente: "Si dovrebbe sempre evitare l'intimità. La vera amicizia è rara in Oriente... Quelli che capiscono come si trattano gli indigeni saranno spesso colpiti dalla loro dignità, fierezza ed eleganza di modi. Lo straniero deve perciò essere attento a mantenere un contegno al loro stesso livello".