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“Paulette era seduta ai piedi del salice vicino e accanto a lei c'era il cane bianco e nero. «Mi è scappata la vacca» disse Michel.
I due bambini rimasero l'uno di fronte all'altro, zitti, per un bel po'. Michel osservò i grandi occhi grigi di Paulette, i capelli biondi che le coprivano la fronte, le mani immobili, incrociate sulle ginocchia, poi tornò ai grandi occhi grigi.”
È un modo innocente e selvatico, primigenio, di affrontare la vita e la morte quello che rappresenta François Boyer nel suo Giochi Proibiti, felice riscoperta di Adelphi con la traduzione di Maurizio Ferrara: un’emozionante opera prima, pubblicata nel 1947, che rilegge l’orrore della guerra attraverso gli sguardi di due bambini.
Sfuggita ai bombardamenti, negli occhi le scene più crude, insieme all’immagine del padre morto, Paulette abbandona la coda degli sfollati su uno stradone pieno di disperazione e di morte, e si incammina sola nella campagna. A soli 5 km, si imbatte in un pugno di case, separate da tutto: lì non sanno nulla, non vedono nulla, lavorano, ognuno nel suo pezzo di terra.
Pochi chilometri separano i due mondi: quello delle famiglie dei Dollé e dei Ganard non conosce il lupo che bombarda e uccide dal cielo, non conosce i piedi distrutti dal cammino, in mezzo alla fame e alla paura, ma è ugualmente brutale. Sono adulti freddi, cinici, capaci solo di odiarsi, e di spiarsi, vicini sospettosi, contadini abbruttiti dalla fatica che competono per un po’ di erba, comunicano con la lingua della violenza, dentro e fuori casa. Si fanno la guerra, anche loro, con tutto l’odio e la bestialità di cui l’uomo è capace.
Quando la incontra, il piccolo Michel accoglie Paulette come una sorella, la accudisce, trova con furbizia il modo di farla entrare in famiglia, di darle un giaciglio, pasti caldi. Insieme Michel e Paulette costruiscono una quotidianità diversa, che è solo in apparenza leggera come dovrebbe essere a nove e dieci anni, ma ha l’immediatezza dell’infanzia.
Quando la morte arriva anche lì, per un banale incidente di lavoro del fratello, viene accettata dalla famiglia di Michel quasi con indifferenza, con la naturalità di chi convive con i fatti della vita, e affronta anche la morte di un figlio come una nuova quotidiana incombenza, un carro da riparare, una giornata di lavoro perso per seppellire il corpo. Sono pagine di un’umanità rozza, arida, sorda al cuore: gli adulti sono lupi e sono anche pietre.
“Paulette scagliò lontano la zappa e di colpo si sdraiò a pancia in giù sull'erba, con le braccia e le gambe stese, la faccia contro la terra. Il ruscello fluiva placidamente con una musichetta, una canzoncina tutta sua. Paulette agitò le gambe e le mani respirando con forza.
«Sto nuotando» disse.
Poi si sollevò leggermente e guardò scorrere l'acqua.”
Dove gli adulti vivono la morte con la rudezza imparata nei campi e nelle difficoltà della vita, i bambini fanno sgorgare sentimenti spontanei, inventano un loro linguaggio di pietà e compassione.
La loro è una commozione sincera per le creature, tutte, senza distinzioni: ognuna ha diritto alla sua cura, alla sua croce. Michel e Paulette inventano un loro alfabeto di gioco, quello della sepoltura, di un cane, di una talpa, di due pulcini, persino di formiche.
Selvatica e scontrosa Paulette, premuroso e dolce Michel: insieme vivono una dimensione parallela, fantastica e spaventosa, che fa danzare lei con un cane morto, fa rubare a lui le croci dai muri della chiesa, fino a un momento finale spiazzante. La morte ha un’attrattiva morbosa e spaventosa, che rende grotteschi i loro giochi spensierati.
La loro è una sensibilità naturale, non corrotta, che va oltre la religione per trovare un senso del sacro naturale e primitivo, per dare un senso al male: con semplicità Paulette e Michel si muovono attorno alla morte, il loro gioco proibito non è altro che pietà spaventata. In quella semplicità è l’agghiacciante significato della guerra, che è in ogni pagina del libro, dove la morte è compagna.
François Boyer (1920-2003) che tra l’altro è stato sceneggiatore del notissimo La guerra dei bottoni, ha uno sguardo attento al mondo incolpevole dei bambini, che nascondono le loro brutalità facendone spensieratezza, spargendo fiori per nascondere il sangue.
Giochi proibiti è un libro meraviglioso e crudele perché non ci può essere alcuna leggerezza nella guerra, né innocenza o purezza: quando l’orrore e la morte diventano normalità, l’umanità ha perso.
“Paulette fece un grande sorriso e diede un colpetto al gomito di Michel. E all'improvviso Michel fu sul punto di scoppiare a ridere, gettare le braccia al collo di Paulette, baciarla, soffocarla... Paulette gli mostrava le formiche, Paulette gli offriva i suoi tesori, Paulette sorrideva davanti a lui e gli chiedeva di sorridere con lei.”
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