Ci sono libri da maneggiare con cura, rispetto, concedendo loro il tempo che meritano: nascono dal cuore e ci respiri dentro la commozione, l’anima, le ore trascorse nel lavoro più difficile e importante per l’uomo, che è il recupero della sua memoria.
Dove memoria non è nostalgia, ma è riconoscenza, di un percorso che ha attraversato la storia ed è arrivato proprio a te, è la restituzione di volti, storie e insieme dignità a tanti uomini e donne che quel percorso l’hanno compiuto, e dei quali restano solo foto. Memoria è restituzione, è una narrazione intima che da quelle immagini un po’ ingiallite riporta nelle stanze della vecchia casa di famiglia i respiri, i pianti e gli abbracci, le litigate furiose e le notti d’amore.
Aprire un libro come Gente del Sud di Raffaello Mastrolonardo vuol dire essere consapevoli di tutto questo, della responsabilità che il presente ha verso il passato, e che ognuno di noi ha verso le proprie radici, punti di partenza, che ancorano alla terra e, se forti e salde, permettono di crescere e di evolvere con coscienza e fierezza. Perché il passato non muore mai. Non è nemmeno passato. Lo ha detto Faulkner e questa storia, bella, ricca, coinvolgente di una famiglia attraverso un secolo di storia, lo conferma. Dritto al cuore.
Raffaello Mastrolonardo parte da un libro dei ricordi, trovato per caso in quella vecchia casa carica di libri e di fantasmi: “un volume di pelle nera con i bordi definiti da una greca continua, l’album di famiglia, muto custode d’un passato che reclamava i suoi diritti”.
Un album come tanti, volti seri, d’altri tempi. Poi il volto dolce della nonna, lo Zio Nello, una mamma ancora bimba.
Mastrolonardo ha raccolto tutto, documenti, foto, dagherrotipi, atti di matrimonio e testamenti. Un lavoro enorme, una sfida, un appuntamento con la vita: quei volti seri, in altre fogge, erano estranei, poi lentamente non lo sono più stati, erano la famiglia, e ne è nato un libro che ha per protagonista la febbre d’amore per la terra, per l’odore di quelle mura, della polvere, per quelle immagini che come spesso succede la vita aveva portato a dimenticare, accantonando. Una storia che chiamava, esigeva attenzione, molte veglie.
C’è una forza emotiva che si sente in ogni pagina, leggendo questo libro e attraversando gli anni. Si parte da Napoli, è il 1895 e l’incubo del colera è tornato. Palma e i suoi tre bambini, con un quarto in arrivo, si mette in viaggio, verso casa dei suoi suoceri, in Puglia, a Balsignano. Si parte da questo viaggio. E poi ce ne saranno tanti, in una storia di operosità e coraggio. E l’Italia non è mai sembrata così grande, come nei viaggi in treno di Cipriano, che attraversa paesi, e parlate, e facce diverse. E l’Italia non è mai sembrata così piccola, perché alla famiglia Parlante, pugliese di Balsignano, si finisce per volere bene, ma bene davvero.
E si chiude questo libro, arrivati ai giorni nostri, con il cuore carico di sentimenti, di storie, di fratelli, di passioni, di odi, di avventure, in guerra e nei campi. Ci sono tanti amori, in questo secolo di persone, amori che sono per i genitori, per i figli, per lo zio un po’ pazzo, e per quello gradasso, per l’amico da proteggere, per la comunità, per i contadini che hanno combattuto le guerre più dure, quelle della fame e della fatica. E per la Puglia, terra straordinaria, senza tempo, che sa accogliere paziente ogni ritorno.
“il passato resterà sempre qui ad aspettarti”.
Recensione di Francesca Cingoli