"In 8°, brossura editoriale in cartoncino martellato con bandelle, 94 pp.
Abstract:
Nato da chissà quale cronaca o leggenda, Faust aveva stabilito finalmente un dialogo tra Uomo e Satana. Egli mosse i suoi primi passi nel mondo grazie alla poesia di Marlowe e soprattutto con Goethe. Poi l’Uomo calpestò le religioni e, non potendo più invocare nessuna potenza celeste o infernale, cominciò a maledire se stesso. Oggi, Faust ha gli stessi dubbi, la stessa crisi e non riesce a colmare il vuoto della sua anima accumulato nei secoli. Questa è la storia di Faust. Semplice e atroce come un dubbio, come una vita.
Indice:
PREMESSA: Faust, storia e attualità di un mito, di Emiliano Ventura
I. PROLOGO
II. IL NATALE DEL MALE
III. UNIVERSO CONCENTRAZIONARIO
IV. SIRIO COSTELLAZIONE DI CASTITÀ
FAUST, STORIA E ATTUALITÀ DI UN MITO
Ho sempre avuto interesse per i progetti letterari non compiuti, molti gli esempi di celebri scrittori con taccuini colmi di idee non sviluppate, da Baudelaire a Mario Pomilio, piccole crisalidi letterarie che attendono il tempo della maturazione.
Tra i tanti penso a Dino Campana che tra i suoi progetti mai realizzati aveva in mente di pubblicare un Faust. L’idea è stata ripresa e compiuta da Carlo D’Urso, autore di questa versione moderna del racconto faustiano. Sfogliando le pagine in prosa poetica sembra che vi si contentri un Aleph di miti, è un piccolo gorgo in cui arrivano correnti remote.
Parte da lontano questo mito che incarna la tragedia della conoscenza; nell’antico testamento l’uomo viene cacciato dal Paradiso perché ha colto il frutto della conoscenza. Nell’era precristiana i Greci raccontano la punizione di Prometeo, colui che aveva osato consegnare il fuoco all’uomo, con questo gli aveva donato l’arte la teknè (tecnica) e la conoscenza; come “premio” Zeus lo lega alla roccia con un’aquila che gli mangia il fegato, la sua colpa è di aver insegnato all’uomo e di avergli consegnato un sapere.
Varizioni di miti che tornaro nel pensiero cristiano che si afferma scalzando la cultura greco- romana, epoca tra le più travagliate e affascinanti, penso al racconto di Plutarco dove si narra di una voce che spande nel mediterraneo il grido: “Il grande Pan è morto”, indicando così la fine del mito e della cultura greca, l’aneddoto non è immune da un’idea di nostos, una nostalgia che non è priva di desiderio, per dirla con Luzi.
Il cristianesimo si andava lentemente sostituendo nelle coscienze degli uomini, da culto perseguitato, o almeno minore, si andava trasformando in carnefice. Una volta approdato al potere si trasforma in quello che aveva combattuto, con un’acredine aumentata dalla frustrazione e dal fanatismo dei votati al martirio; su questo argomento Cioran nel suo Il Funesto demiurgo ha scritto pagine di sublime prosa filosofica.
L’imperatore Giuliano, detto l’apostata, nel IV sec. d.C., aveva sperato nella restaurazione del culto, una morte precoce ha impedito il suo sostegno alla causa della filosofia e del mito greco. Come non provare ancora commozione di fronte alle parole di Libano nel suo In difesa dei Templi, dove chiede che vengano rispettati gli antichi culti e gli antichi dei.
Ipazia, filosofa neoplatonica cresciuta nell’alveo dell’ellenismo alessandrino del V sec. d.C., è stata massacrata dai cristiani del vescovo Cirillo, fatta a pezzi con cocci e vetri, per ciò che il suo fervore di conoscenza rappresentava, la sua colpa era di insegnare e persegiure la ragione dei greci.
Uno dei padri della chiesa, Tertulliano, afferma che dopo la venuta di Cristo non si deve più essere curiosi, tutto è stato rivelato, il naturale istinto di sapere viene castrato da questi chiosatori del ‘ver