Alla morte improvvisa di Ernest, tutta la famiglia Bott si stringe attorno alla vedova Milly, la povera dolce Milly. Una donna compita, rotondetta e mansueta, la moglie perfetta, l’ideale a cui guardano i cognati, circondati da mogli secche acide e iperattive. Milly, una nuvola nera di elegante velo e crespo, le mani intrecciate composte al grembo, non piange, giace in silenzio, accomodante come sempre.
La vecchia Bott, mamma di Ernest, ha la saggezza dell’età e sa come consolare la nuora «Sono tutti sogni, mia cara. Alla fine non c’è niente, mia cara Milly, solo sogni». Resta la consapevolezza di un futuro sereno e di un’esistenza agiata per Milly, vedova facoltosa.
All’apertura del testamento, una sorpresa che lascia tutti sgomenti: Ernest ha lasciato alla moglie solo mille sterline. Tutto il patrimonio, casa, averi, denaro è devoluto a una casa di riposo per donne perdute. Il codicillo è violento come uno schiaffo in faccia “Mia moglie sa il perché”.
Milly è marchiata di infamia, e in miseria.
La famiglia Bott è raggelata: può Milly, una colomba dolce, un vanto per la famiglia per educazione e compostezza, essersi macchiata di una colpa tanto grande nei confronti del marito? La colomba è in realtà un’adultera? La scoperta getta in subbuglio tutti, e il timore più grande è quello del pettegolezzo, una diceria incontrollata che si possa spargere tra i domestici e nella comunità di Titford. Non resta che trovare una soluzione. Milly diventa un problema di cui farsi carico, un’onta da nascondere, una donna ingombrante da mantenere.
Perché Milly subisce una trasformazione agli occhi delle donne di casa, che dichiarano guerra alla peccatrice, e con lei alle emozioni, alle leggerezze dei sentimenti, lasciando i mariti stupiti, e oltraggiati da tanta asprezza.
«Le donne virtuose, ragionavano in silenzio i cognati, una volta scese sul piede di guerra diventavano veri e propri diavoli.»
Da parte sua Milly, che è un animo buono, ha peccato per bisogno di amore, e per il dolore di un matrimonio tiepido, composto, regolato e regolare: quindici anni tutti uguali, nei quali provare emozioni equivaleva a essere inopportuni. Poi l’incontro con Arthur e un amore vero, appassionato prima, sereno per anni. Una colpa d’amore, quella di Milly, che nei suoi silenzi si interroga, si strazia, si autodenuncia, si assolve e poi, prima di accettare il suo destino, paga il suo debito, con un atto di grande umanità e con il desiderio di riposare il cuore.
Colpa d’amore è un romanzo sui sentimenti e le convenzioni, sulle apparenze e sui giudizi che diventano marchi di infamia. Una lettera scarlatta tra i salotti eleganti della borghesia inglese, dove un the e una torta al rabarbaro sembrano essere la soluzione più conveniente e decorosa a qualsiasi problema. Dove si discute con meschinità dei soldi necessari per aiutare una vedova e poi si sperpera in lussi inutili, cuori inariditi dalla prosperità. E dove il giudizio di un maggiordomo appare più importante di un legame di famiglia, e la bontà d’animo è vista con diffidenza e malafede.
«non erano i peccatori ad avere bisogno di comprensione, pazienza e indulgenza ma, decisamente, i buoni.»
Scritto con punte di ironia di grande vivacità e acume, Colpa d’amore è un libro che ritrae una società asfittica con tutto il suo repertorio di moralismi e ipocrisie, mogli devote, mariti distaccati, tutti pronti a puntare il dito contro i peccatori. Elizabeth Von Arnim scrive con leggerezza e con grande maestria unisce narrazione a monologo interiore, e regala, con Milly e con l’anziana matriarca, due personaggi memorabili, vere eroine che si ergono contro i benpensanti.
Inaspettatamente anticonformista.
Recensione di Francesca Cingoli