"Sì, è questo quello che voglio. Voglio che tu sia per me il coltello, e anch'io lo sarò per te, prometto". Non è un caso che, proprio da questo stralcio di kafkiana memoria, sia stato estrapolato il titolo di quello che è, a detta di molti, il capolavoro di David Grossman. Un ardente, quasi ossessivo romanzo epistolare a due voci, in cui l'appassionata corrispondenza tra Yair e Miriam, due completi sconosciuti le cui vite scorrono parallele e quasi speculari, altro non è che un espediente per addentrarsi nei più reconditi recessi dell'animo umano.
È Yair a firmare la prima missiva, qualche giorno dopo aver presenziato ad un raduno tenutosi nel liceo in cui Miriam insegna; nello scorgerla di sfuggita, circondata dalla folla, eppure così quietamente estranea ad essa, egli la riconosce istantaneamente come qualcuno di familiare, di affine – qualcuno a cui raccontarsi, con la certezza di essere compresi.
Lettera dopo lettera, al riparo da sguardi e giudizi esterni, liberi dal timore di conseguenze o ripercussioni, i due protagonisti intessono così una fitta trama di confessioni, reminiscenze e desideri, creando, così, uno spazio liminale, catartico, nel quale è possbile mettere a nudo l'anima e tentare di dar voce a moti interiori ineffabili, taciuti, persi e celati tra le pieghe della realtà.
È opinione assai diffusa quella secondo la quale Che tu sia per me il coltello sarebbe un romanzo "per pochi". Se non altro, si tratta di un romanzo che non si regge su una trama propriamente detta, bensì sul flusso di coscienza ininterrotto che, attraverso ondate impetuose, permette ai due protagonisti di trascendere l'immobilismo delle proprie esistenze e rovistarsi dentro vicendevolmente; ed in effetti, ciò è probabilmente sufficiente a rendere il libro in questione indigesto, pressoché impenetrabile, per una vasta percentuale di lettori.
Più che in una storia, ci si cala nelle menti, negli sguardi, nei sogni e nei vagheggiamenti dei due protagonisti; sono i loro articolati ed intricati monologhi, privi di freni e di autocensura, a guidarci verso un climax finale che, nel suo essere amaro e spiazzante, si rivela al tempo stesso chiave di lettura delle dinamiche affettive e psicologiche che percorrono il romanzo come subliminali correnti sotterranee.
Un libro che si divora tutto d'un fiato, o si abbandona per sfinimento. Per alcuni prolisso e stucchevole, per altri (e per chi scrive) voluttuoso ed appagante. Una cosa è certa: ci sono libri che si leggono, e libri che ci leggono; Che tu sia per me il coltello appartiene, inequivocabilmente, alla seconda categoria.
Recensione di Cristina Rombi