“Tutto puoi immaginarti tranne che un giorno ti svegli con addosso il macigno di una scomparsa. Cos’è una scomparsa?
È un fantasma che ti perseguita e ti spacca in due.”
Basta un attimo: Daniel sta giocando ai giardinetti, tra l’altalena e lo scivolo, la mamma si distrae guardando il telefono, e il bambino è sparito. Un attimo che cambia la vita per sempre, scava nell’animo una colpa che non ha espiazione, e definisce nuovi contorni di giornate costruite attorno a un’assenza.
Una donna che un attimo di disattenzione ha punito in eterno si interroga su se stessa, e sulla sua maternità, non voluta, accettata per convenzione, per necessità. Una maternità che non è stata una libera scelta ha partorito un bimbo non voluto, e che il destino ha sottratto, come volesse punirla. La maternità come sottrazione e pentimento.
Accanto a questa donna, madre suo malgrado, ce n’è un’altra, che si è portata via Daniel, l’ha chiamato Leoneld: la sua maternità è un’ossessione, un bisogno frustrato, accanto a un maschio manesco che non le vuole dare un figlio. Essere madre per lei ha sempre rappresentato un bisogno, un’urgenza, soprattutto lì, in Messico, in una società patriarcale nella quale, specie nelle classi meno agiate, essere donna vuol dire avere un bambino. Madre a qualsiasi costo, oltre ogni legge e immaginazione.
“E tutti, proprio tutti quegli uomini borbottavano senza nemmeno ascoltarsi e noi donne, confuse ma impavide, a guardarli, perché è questo quello che ci tocca: essere le case vuote pronte ad accogliere la vita o la morte ma che, alla fine dei conti, sempre vuote rimangono.”
La questione della maternità è affrontata da Brenda Navarro in Case Vuote come un racconto intimo pieno di disperazione, dove entrambe le donne sono incarcerate nel loro dolore, una prigione esistenziale fatta di silenzi, tensioni familiari, illusioni di normalità. Parlano con il loro corpo, queste due madri infelici, donne che raccontano i loro dolori, fisici e emotivi, senza ipocrisia: soliloqui disperati intrecciati tra loro.
Manca invece del tutto il dialogo con gli uomini, che non ascoltano e non sanno interagire: sullo sfondo, un Messico femminicida e un sistema sociale che detta regole ma è carente di qualsiasi senso di umanità.
Nella terra dei desaparecidos la scomparsa di Daniel è una voragine nel petto, e cancella ogni affetto, ogni relazione, creando un circolo vizioso senza speranza che fa alzare i muri negando agli altri la felicità.
“Perché li chiamiamo scomparsi e non osiamo chiamarli morti? Perché i morti siamo noi che li cerchiamo, loro saranno vivi per sempre, per sempre.”
L’esordio della scrittrice messicana Brenda Navarro è di quelli che fanno male: un romanzo forte, politico e intimo, reso anche più reale e toccante da frammenti della poesia di Wisława Szymborska. Brenda Navarro parla di invidia sociale, di rapporto tra uomo e donna, di amore e fedeltà, a se stesse e ai propri valori, di una società dove le uniche speranze sono in realtà proprio i bambini.
Agli adulti non resta che andare avanti, condannati a respirare, e a fare i conti con i propri errori e i propri dolori, colmando i vuoti.
“Respira. Togliti la terra di dosso. Resisti. Alzati. Respira. Ma a che serve?”
Recensione di Francesca Cingoli