Il libro – che inaugura la collana “Avanguardia Primitiva. Biblioteca della Fondazione Alessandro Passaré” – cerca di delineare il profilo di Alessandro Passaré collezionista sullo sfondo della Milano del secondo dopoguerra. È in quel contesto, infatti, che il medico milanese si innamora prima dell’arte dei suoi contemporanei, con aperture verso l’arte europea ed extraeuropea in cui già si poteva presentire, forse, quel gusto del “primitivo” che avrebbe procurato, in lui, una passione per il continente nero: un vero e proprio “mal d’Africa” che lo condurrà a viaggiare per il mondo e ad esplorare soprattutto il continente africano. Passare dall’arte contemporanea alle arti primarie, dunque, poteva costituire una migrazione naturale: ai suoi occhi, probabilmente, non si trattava di cose distanti, ma solo di una dialettica fra arte d’avanguardia e una “avanguardia primitiva” dall’altra. Sulle pareti della sua abitazione, dunque, Passaré mette in atto il dialogo fra moderni e primitivi, fra i collage di Baj, i segni di Tancredi e le maschere negre, fra la combustione di Burri e i piccoli totem del continente nero. Ed è all’insegna di questa sinergia, mettendo in luce i lati arcaici (o ancestrali) del moderno, che si chiude il suo lungo percorso nel secondo Novecento, guardando al mondo intero a partire da Milano.