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“Immagino volessi diventare necessaria per Ciaran, ignorando che lui aveva comunque bisogno di me. Volevo che vivesse in un mondo dove ogni sua potenziale esigenza fosse stata preventivamente soddisfatta.”
Sincero come un diario, disperato come una confessione, Atti di sottomissione è viscerale e doloroso: è il racconto senza sconti di una giovane ragazza irlandese e della sua discesa, giù fino a perdere se stessa. Perché annullarsi per compiacere un’altra persona è autolesionismo, che nasce da una distorta visione idealizzata del prossimo, e da una distorta consapevolezza di se stessi.
Megan Nolan ha scritto un libro terribile e ipnotico, che racconta pagina dopo pagina le ossessioni di una ragazza seducente ma delicatissima, che si sente se stessa solo in relazione all’altro. L’incontro con Ciaran in una galleria d’arte scatena un rapporto complesso per lei, molto semplice per lui: è un rapporto distruttivo, malato, in cui la protagonista si disgrega nel tentativo di piacere, di farsi accettare, di accettarsi, mentre per lui è solo un frammento di vita insignificante.
L’esplorazione intima della Nolan guarda fuori nella relazione con Ciaran, e prima di lui con gli altri uomini capitati sul cammino, e guarda dentro, alle ragioni più profonde e cupe del desiderio. Non è un racconto pruriginoso il suo, ma turba nella sua realtà e lucidità, che riconosce la sessualità come uno strumento per vedere il proprio corpo desiderabile, e se stessa necessaria. La paura costante della perdita fa in modo che si innesti un gioco subdolo che affonda le radici nelle dinamiche del desiderio ma soprattutto nelle trappole della propria mente.
La fragilità porta ad accettare ogni cosa, le violenze più o meno latenti, emotive e fisiche, l’abuso di alcol come medicina dell’anima, viatico della leggerezza, il cibo come riempimento dei vuoti, il sesso come dipendenza e sacrificio, ma anche come modo per vedersi con gli occhi degli altri, quando i propri vedono solo inadeguatezza.
Megan Nolan racconta in prima persona la sua storia di “fuggitiva”, inaugurando con questo romanzo una nuova collana NN dedicata alle donne che fuggono, forse più da se stesse che dagli altri, per una possibile rifondazione della propria esistenza.
Quella che viene raccontata è una continua negoziazione con il
proprio vittimismo, che diventa un lavoro molto acuto di messa a nudo di un
meccanismo infido, e conduce a una dissezione terribilmente feroce, che non
cerca assoluzione, ma dissotterra tutto, senza pietà.
“Pensavo che l’amore di un uomo mi avrebbe riempito così tanto che non avrei più avuto bisogno di bere, mangiare, tagliarmi o fare di nuovo qualsiasi altra cosa al mio corpo. Pensavo che se ne sarebbe fatto carico al posto mio.”
L’ammissione delle proprie umiliazioni, la consapevolezza della propria istintività, la necessità continua di assecondare i propri impulsi, di metterli a disposizione e alla mercé degli altri: si finisce in trappola da soli, non piacendosi, avendo bisogno di continuo di lenire il disprezzo di se stessi, cercando conferme, trovandole in un uomo da venerare, da servire. Si finisce per stare al mondo solo attraverso palliativi di amore, in comportamenti malati e tossici, che svuotano di rispetto e conducono al niente, proprio perché cercano l’oblio.
Si raggiunge il fondo quando si inizia a chiedere scusa, delle proprie azioni, dei propri pensieri, di sé, dello spazio occupato, dell’aria respirata, di tutto.
Con il coraggio dell’autobiografia, e la potenza di un esordio sbalorditivo, una ragazza trentenne ci mette di fronte alla verità bruciante di come ci relazioniamo con gli altri, sbattendoci in faccia il nostro io più fragile e bisognoso, con un percorso narrativo per frammenti. Ne risulta una voce rotta, ossessiva, un memoir in prima persona che immaginiamo essere stato liberatorio per l’autrice, e al contempo estremamente istruttivo per tante donne come lei.
La Nolan non teme giudizi, evita qualsiasi cliché e mette a nudo tutto, se stessa, il rapporto con il suo corpo, la ricerca di relazioni, che è ricerca di emozioni, e di uno scopo: solo con sincerità e molta disperazione ci si riesce a setacciare così, in una trattativa continua e estenuante tra la metà di sé razionale e protettrice, e la metà distruttiva e istintiva, in una straziante analisi delle relazioni squilibrate, tanto più seducenti quanto sbagliate.
Incalzante e allucinato, il punto di vista di Megan Nolan è quello reale e disincantato di chi ha guardato dritto negli occhi il proprio dolore, e con quello racconta la zona buia della violenza distruttiva e manipolatrice che fa sentire sbagliati se soli, induce a credere di non essere mai abbastanza, e spinge a costruire se stessi solo attraverso gli altri, con la sensazione seducente di esistere solo per ricevere ciò che qualcuno si degna di darci.
“Mi raggomitolavo e mi nascondevo per dire che ero niente, ed ero felice di essere niente se il niente era ciò che più lo soddisfaceva. Se il niente era il minore dei guai, allora lo sarei stata, e con gioia.”
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