Nelle aree dell'antico Nord-Ovest indiano, un territorio di frontiera tra mondi diversissimi, corrispondente all'attuale Pakistan e a parte dell'Afghanistan, tra la fine del I secolo a.C. e il IV-V secolo d.C. si manifestò una particolare corrente figurativa a contenuto prevalentemente buddhista, comunemente definita "arte del Gandhara", caratterizzata dalla compresenza di componenti ed influssi classici (ellenistico-romani), indiani, iranici e centroasiatici, composti in una sintesi originalissima di linguaggi formali, simbolici e filosofici.
I materiali d'elezione di questa produzione che oltre ad essere scultorea, è anche architettonica - ma che, a giudicare dai rari frammenti, doveva essere anche pittorica - sono lo schisto, talora il calcare, lo stucco e l'argilla cruda.
Durante il XIX secolo e nei primi decenni del secolo appena passato, i rilievi buddhisti del Gandhara erano stati apprezzati dagli studiosi occidentali come le uniche creazioni del mondo indiano degne di un qualche interesse artistico, una valutazione sostanzialmente motivata dalla presenza di caratteri stilistici chiaramente collegati all'arte occidentale ellenistica e romana che si esprimono nel modo di rappresentare le figure, nei panneggi e nella resa spaziale.
La definizione "arte del Gandhara" per questo fenomeno figurativo nasce proprio dalla consapevolezza di tali complessità e peculiarità.
Il volume da conto, con ampia documentazione fotografica, delle collezioni custodite al MNAO con saggi di Donatella Mazzeo, già Direttrice del Museo, di Luca Maria Olivieri dell'IsIAO e della curatrice Laura Giuliano.