Questo libro si pone da un punto di vista alternativo rispetto alle forme tradizionali di documentazione fotografica e mostra un approccio più misurato, innovativo e problematico di quello dei media convenzionali. I fotografi che hanno realizzato gli scatti non hanno cercato di raggiungere l’occhio del ciclone, ma hanno voluto documentarne l’impatto partendo da ciò che è rimasto. E, facendo questo, hanno messo in discussione la loro stessa professione, oltre alla contemporanea propensione per l’immediatezza. Lo scopo di queste immagini è quello di invitarci a riflettere e a cogliere la sofferenza che racchiudono. Tornare a distanza di tempo sui luoghi dei grandi disastri riapre ferite e provoca sensazioni che ci raccontano quel che è stato e non c’è più, ma permette anche di dare un senso al dolore e di testimoniare il coraggio di continuare a vivere. Queste fotografie, spesso scattate con un’enorme attenzione alla composizione e all’uso del colore, sembrano più dei quadri di sublime bellezza che degli scatti in bianco e nero, propri del fotogiornalismo. A volte risultano talmente inaspettate da far venir meno il confi ne tra realtà e fi nzione. Inoltre, il limite tra la parte dei “buoni” e quella dei “cattivi” si fa sempre più sfocato: i criminali di guerra americani e i sopravvissuti ai massacri, per esempio, condividono lo stesso danno psicologico.