“Come potrebbe esistere Joyce senza Dublino, e, oggi, come potrebbe esistere Dublino senza Joyce?”
Il libro di
Fabrizio Pasanisi è una mappa del cuore che guida al centro della vita di Dublino e del suo narratore per eccellenza, James Joyce, dubliner per poco, e suo malgrado.
James Joyce ebbe con la città di Dublino, cui è così profondamente legato il suo nome, un rapporto travagliato e contraddittorio di amore e di odio. In realtà, visse a Dublino solo un terzo della sua vita, dalla nascita nel 1882 alla partenza per il continente nel 1904. Nella sua esistenza, e nel suo animo, ci sono anche Zurigo, Parigi, Roma, e soprattutto Trieste. Ma il suo legame con la città natale restò indissolubile seppur segnato da amarezza.
“Quando un giorno chiesero a Joyce perché avesse lasciato l’Irlanda, rispose: <>. Più che un semplice espatriato amava considerarsi un esule, uno costretto ad andarsene via e pronto, prima o poi, a fare ritorno, possibilmente pieno di onori, levandosi magari qualche sassolino dalla scarpa.”
Una vita precaria, quella della famiglia Joyce, con il padre John sempre più in difficoltà economica, sempre più vittima dell’alcolismo, che porta i suoi in un pellegrinaggio verso zone sempre meno prestigiose, in case sempre meno accoglienti, dalle quali scappare quando non ci sono più soldi. La conoscenza di Dublino, nasce anche così, attraverso i continui traslochi, dal centro alla periferia. Ne parla, Pasanisi, nella prima parte del suo libro, centrata sulla vita dell’autore, i suoi studi, gli amici, l’amore.
Nella seconda parte si entra nella scrittura di James Joyce, e attraverso le sue opere, si analizza l’evoluzione della sua visione della città.
In Dubliners, Joyce volle raccontare la città e i suoi abitanti così com’erano, come li aveva visti e conosciuti: è una rappresentazione molto sincera, quasi fotografica di strade e luoghi. L’umanità che preme all’autore raccontare nasce dalle sue stesse esperienze, e da un paesaggio urbano familiare.
E’ un ritratto a tinte fosche, quello di Dublino, città cupa e non amica. C’è un continuo desiderio di fuga, il senso di una pesantezza opprimente. In Ritratto dell’artista da giovane la madre Irlanda “è la vecchia troia che si mangia i maiali che ha partorito”.
“Poi, un bel giorno, Leopold Bloom attraversò Dublino e per la città, e per la letteratura, non fu più la stessa cosa: cambiarono per sempre, l’una e l’altra, come cambiò il ruolo del cittadino e del lettore.”
Una Dublino da commedia, nell’Ulisse, abbandona i toni grevi e si illumina di una dimensione vivace, a tratti fantastica. Seppur nel paradosso, tutto riporta alla vita vissuta, a luoghi reali e tangibili. James Joyce adulto sembra dimenticare l’antico rancore e fare pace con la sua terra. Il viaggio di Ulisse per le strade di Dublino, tra avventure e pericoli, diventa un immenso viaggio dell’uomo in una terra trasfigurata e resa universale.
A Dublino con James Joyce riesce nella difficile impresa di equilibrare saggio e racconto, lo fa con sapienza e vivacità narrativa, e accompagna il lettore nelle pieghe di una vita, complicata e umanissima, nelle pagine di capolavori assoluti, e nelle strade di una città che ogni anno il 16 giugno, giorno del Bloomsday, si inchina al suo più grande Dubliner.
Recensione di Francesca Cingoli