Il secolo mezzo cinese
Aspenia, la rivista trimestrale di Aspen Institute Italia diretta da Marta Dassù, è in uscita con il numero “Il secolo mezzo cinese”. Tra gli autori Ivan Krastev, Paul Krugman, Dan Wang e Arthur Kroeber, Martin Sandbu, Angelo Richiello, Stefano Cingolani, Filippo Fasulo, Carlo Jean, Emilio Rossi, Alessandro Aresu, Stefano Stefanini, Paolo Guerrieri, Pramit Pal Chaudhuri, Alexander van der Wusten, Angela Stefania Bergantino e Maurizio Sgroi.
C’è una curiosa simmetria o, meglio, una complementarità tra i due giganti economici, USA e Cina per cui davvero si reggono uno sull’altro, compensando i rispettivi squilibri interni. Gli Stati Uniti di oggi esportano protezionismo, che è diventato la bandiera politica della rivolta dei ceti medi e poveri. La Cina esporta mercantilismo, una strada quasi obbligata per un sistema politico che per sua natura tende a sopprimere il dissenso, controllare la società, e dunque comprimere il consumo interno. Pur consapevoli che un vero "de-coupling" sarebbe troppo costoso per entrambi, come dimostra la recente tregua commerciale, i due giganti competono per il predominio tecnologico—la Cina puntando su intelligenza artificiale applicata, robotica, auto elettriche e terre rare; l'America su cripto, biotech e genetica—in un tentativo di compensare attraverso l'innovazione le proprie contraddizioni strutturali.
In questo contesto, Pechino vede in Trump non solo un rischio, ma un'opportunità unica: nel senso che il presidente degli Stati Uniti potrebbe perfino “sacrificare” Taiwan all’idea di un deal bilaterale con la Cina, come scenario più rilevante per gli Stati Uniti. La crisi dell’ordine liberale internazionale potrebbe lasciare emergere degli ordini regionali: gli Stati Uniti chiederebbero all’Europa di contenere la Russia, o al Giappone di contenere la Cina – a spese loro. E intanto Washington stringerebbe rapporti diretti tra le principali potenze per raggiungere accordi privilegiati. Lasciando alle maggiori potenze una loro sfera di influenza, più o meno estesa.
L’Europa si trova così di fronte a un bivio e sembra stretta in una sorta di tenaglia a cui non è semplice sottrarsi: accettare una maggiore conflittualità con la Russia come prezzo per salvare l’Ucraina oppure lasciare che Mosca, non oggi ma col tempo, assuma progressivamente il controllo del paese, trasformandolo in una sorta di nuova Bielorussia. Una vittoria di Putin la destabilizzerebbe proprio quando l’America di Trump e la Cina di Xi esercitano in maniera diversa forme di diplomazia economica coercitiva. E l’Europa ha tutto da perdere da un aumento delle tensioni commerciali. Resta inoltre aperto il nodo della reale capacità dell’UE di costruire autonomia strategica in un mondo dove le interdipendenze diventano armi e dove Cina e Stati Uniti si contendono l’egemonia.