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“I colori la investivano, l’accoglievano e lei, all’improvviso, li sentì scorrere dentro, come un tempo.
Erano come racconti.
Erano i colori del mondo.”
Cristina Caboni racconta una storia commovente per spiegare che la vita è (ancora) bella, e piena di colori. Lo fa con la sua capacità di narratrice di emozioni, prima che di vicende, e con la semplicità che riesce a restituire verità senza presunzione.
La ragazza dei colori si chiama Stella è un’artista, una pittrice che vive la sua arte con una molteplicità di sentimenti: la ama, perché è la sua vita, una vita piena di colori, eccentrica come i suoi vestiti, spudorata come la sua capacità di andare oltre le apparenze, ma al tempo stesso Stella ha allontanato e rinnegato il suo talento, mettendolo da parte come un nemico, perché proprio l’arte ritiene responsabile della frattura della sua famiglia. Un padre talentuoso ma distante, una madre lasciata sola a gestire l’esistenza: Stella non può essere così.
In fuga da se stessa e dalla sua stessa inclinazione, Stella si nasconde, chiusa come un riccio, nella grande casa della zia Letizia, che la capisce, la sprona, sa toccare le corde del suo cuore, anche nel suo, nuovo e improvviso, bisogno di essere accudita. Letizia ha ormai più di novant’anni e da quando il marito Orlando se n’è andato, vive in mezzo a grandi silenzi interrotti dai dialoghi con lui, o quel che lei crede di vedere, e con il suo cane Aristide. Stella capisce che è arrivato il momento di fare la sua parte, e si ferma per prendersi cura di Letizia e della casa, che inizia a mostrare anche lei i segni del tempo. È così, mentre riordina e ritinteggia con i toni della primavera una stanza al pianterreno, che trova una serie di regali disseminati in una bizzarra caccia al tesoro da Orlando prima di morire. Lei che conosceva e amava profondamente suo zio, intuisce che quei regali sono un messaggio per lei, affinché agisca, una pista da seguire.
Soprattutto quei disegni, pieni di colori, tratti da bambini ma immagini da adulti: Stella non capisce l’origine di quelle opere infantili e meravigliose e soprattutto perché Orlando le abbia conservate per poi farle avere proprio a lei. È quando vede negli occhi di Letizia lo smarrimento del senso di colpa e un dolore antico che Stella decide di capire di più. Perché quei colori bellissimi nascondono una tragedia, di cui Letizia è stata testimone, e ora quei disegni le raccontano il buio, e una promessa non mantenuta.
“Un’esplosione di colori come non ne aveva mai visti, la riempì di meraviglia. Verde brillante, giallo e arancio. Il blu più profondo, il rosso maestoso, il viola e celeste. Sfiorò le pagine, emozionata.
«Chi ha fatto questi disegni?» sussurrò completamente rapita.”
La ricerca di Stella la porterà indietro nel tempo, a episodi terribili della storia umana: un viaggio nella memoria che Orlando aveva deciso per lei, indizio dopo indizio, affinché il debito dei giusti fosse saldato, e lei potesse guardare il suo vero volto, fiero e audace, ritrovando una passione sopita.
Per Cristina Caboni l’arte è un messaggio, un’esplorazione, e un dialogo, e il colore non è solo un mezzo per trasmettere una narrazione, è una espressione di sé, un codice di personalità, un punto di incontro tra cuori. Man mano che la trama si districa e la verità prende forma, la gioia della pittura torna a vivere nelle mani di Stella, e la sua è una nuova nascita che la porta a fare pace con se stessa.
“L’arte unisce, emoziona, l’arte ci trova perché è bellezza, e noi ne abbiamo tanto bisogno perché ci conduce alla nostra anima, ai colori della nostra esistenza. Se guarderete quei disegni a fondo, con attenzione, potrete ascoltare la loro storia.”
La ragazza dei colori è una storia di salvezza e di riscatto, un’avventura di arte e di colore, una storia d’amore, con se stessi, prima, con gli altri, dopo, quando si abbandonano i vincoli dei sensi di colpa e ci si abbandona alla vita. Ci si salva anche così con un progetto, una caccia al tesoro nel ricordo di chi ci ha amato, o con un murales da riempire delle proprie sfumature, accogliendo tutti, non escludendo nessuno, consapevoli che persino il bianco non è mancanza di colore, ma è il prodotto dell’unione di tutti i colori.
È in questo ossimoro potentissimo che Cristina Caboni trova la chiave della sua storia: la bellezza più luminosa e variopinta per trasmettere l’orrore più cupo, come chiave per interpretare una resurrezione sempre possibile, e un senso di umanità più vero.
Questo è infatti un libro che parla anche di comunità e di partecipazione, con il merito di raccontare un pezzo di storia bellissima, quella dei bambini di Nonantola, per non dimenticare quanto possiamo essere umani, e giusti, anche in mezzo all’orrore. Una storia che le immagini dei piccoli profughi afghani rendono di dolorosa attualità.
Recensione di Francesca Cingoli
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