Romanzo potente che alterna due voci: lei, la compagna, incinta, lui, il compagno, professore di filosofia. Ha stuprato una ragazza, una sua allieva: almeno così afferma lei, due anni dopo i fatti.
L’avevi denunciato? No, non potevo. Perché?
Perché allora non lo sapevo. Ora lo so.
Una violenza di cui prendere coscienza, non solo per la ragazza, ma per la comunità della cittadina di Miden, un luogo a metà tra l’eden e un lager. Tutto è perfetto, ordinato, uniforme e giusto. Ci si veste tutti uguali, ci si aiuta, ci si unisce in gruppi per collaborare insieme, impegnarsi, contribuire a un’eccellente qualità della vita. Tutti contenti e sorridenti. Il mondo ideale. Al di fuori di Miden c’è il caos, conseguente a un “Crollo” che ha lasciato degrado e precarietà.
Si parla una lingua nuova a Miden, dove la parola centrale è accogliente, ed è la parola che definisce anche il sesso. In una comunità razionale e irreprensibile in cui l’istinto più naturale è definito “accogliente”, il presunto stupro è un elemento che disorienta. Serve regolarizzare anche quello. Ci sono questionari da compilare. Chi conosce il professore deve rispondere alle domande, ricordare, valutare.
La compagna, che incontra la ragazza e ne riceve per prima il racconto, deve gestire sguardi, compassione, e la necessità di un isolamento nel silenzio del dolore e del sospetto, in una dignitosa negazione del proprio ruolo.
In un mondo dove i sentimenti sono controllati, la femminilità viene nascosta o violata. L’ordinanza di vestire a cipolla rimuove ogni possibilità di personalità e di seduzione. La compagna copre gli specchi per non vedere la sua pancia gravida. La maternità è la dolorosa esperienza di una mamma talpa uccisa per sbaglio nella terra, o una culla che sembra una cuccia, dipinta di giallo, un colore odiato. Archetipi e metafore sono presenti con forza nel libro di Veronica Raimo che è un racconto straniante di solitudini, di voci senza parole per esprimersi. Ci si nasconde dalla comunità perfetta, si scappa nel bosco, per urlare con tutta la forza che si ha e per sentirsi vivi.
In una società così avanzata non c’è consenso né giudizio, ma solo rifiuto. Si accetta la sentenza della comunità, si sotterra ciò che appartiene alla propria vita precedente, ci si adegua. C’è comunque un senso di speranza e di riscatto per una riscoperta della propria identità che sa ripartire, restituendo voce al proprio corpo e alla propria natura di donna.
Nell’anno del #MeToo, un libro complesso sul tema dell’abuso, che fa riflettere su senso vero della libertà di sentimenti, intrecciando con molta bravura la voce femminile a quella maschile.
Recensione di Francesca Cingoli