"Senza vero desiderio di andare" è un romanzo - anche se non di fiction pura - in cui si combinano due elementi. Da una parte l'opera ha la sua germinazione dal percorso di elaborazione per la morte della moglie a cui è chiamato il protagonista, attraverso il racconto di una vicenda intima e personale che si dispiega lungo solitarie giornate. Attorno a ciò si raccoglie uno sguardo critico e disincantato - talora feroce e sarcastico, ma accorato e spaesato - sul degrado, lo sbriciolamento culturale ed etico del cosiddetto postmoderno, sull'imbarbarimento della condizione antropologica conseguente alla crisi della modernità nella società del capitalismo esasperato. È nelle intenzioni una narrazione insieme intimistica e civile, poco indulgente; uno zibaldone che acquieta i propri sussulti nel gesto del racconto. A fondamento dell'opera c'è una ricerca su una lingua "capace di imprimere, di radicare, di marchiare, di urticare". Un romanzo che è quasi un saggio su un'umanità sempre meno umana, misto a un inno d'amore verso l'amata moglie, con lo scopo di scuotere le coscienze e i cuori ormai infreddoliti dalla smania del denaro facile.