"Nutrire dio" riporta il progetto Euripide (con l'appendice dedicata al Dioniso di pancia e di culo di Aristofane), che occupò Giuliano Scabia, per diversi anni di lavoro interno al Dams di Bologna. Ci sono numerosi Quaderni di Drammaturgia dedicati a questi temi, dove Scabia fece esplodere le riflessioni maturate negli anni precedenti, anche a partire dal Convegno delle Stinche (1979), che arrivava a confermare certe sue posizioni sul nuovo teatro Nel quaderno riassuntivo, intitolato appunto Nutrire dio, pubblicato integralmente in questo libro, Scabia si chiede «Cosa significa nutrire? Dare la vita. La vita a un dio? L'uomo dà la vita a un dio? Sì. Un dio per esistere ha bisogno di essere ricordato, lodato, cantato, ballato. E, nelle cerimonie, anche fisicamente nutrito. Le offerte (a Dioniso, a Zeus, a Hera - a qualunque dio) sono nutrimento. E anche tutto ciò che si dice del dio è nutrimento. Parole, canti, balli, sacrifici: per tener buono il dio, rabbonirlo, renderlo donatore, protettore, generatore. C'è qualche dio che non abbia domandato sangue, reale o simbolico? Consacrare vuoi dire cospargere di sangue. Come avviene nelle Baccanti. Chi legge "Nutrire dio" troverà descritto in più punti che in certi momenti delle danze in tondo (il coro che balla e canta: tutti ballavano e cantavano) i ballerini cantori sentivano formarsi il dio, entravano cioè col corpo nel senso profondo del testo, nello stato di trance controllata che il corpo collettivo raggiunge respirando e muovendosi insieme. Mi sono reso conto che nominando Dioniso in quel modo ne nutrivamo la presenza. Che lui era lì perché noi diventavamo lui cantandolo».