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“Guardo dall’alto l’addome che mi si gonfia, e non so più chi ci sia, sotto a tutto quel grasso. Sto male più o meno a quel punto, ogni volta. E piango in posizione fetale, così forte che certe lacrime riescono a toccare terra, come se almeno loro potessero mettersi in salvo, dopo un naufragio.”
Ci sono vuoti che è impossibile riempire: sono quelli che affondano nel passato, nelle mancanze, nelle assenze più dolorose, sono quelli generati dal senso del fallimento. Vittoria si ingozza, di cibo e di relazioni sbagliate, cercando di colmare quel vuoto che a quasi quarant’anni si sente sempre più forte.
La fatica dell’affetto diventa la sua grammatica fin dall’infanzia, in una famiglia dalle dinamiche squilibrate, e dura per tutta la vita, una voragine che inghiotte ogni cosa.
Cercare l’accettazione degli altri è una trappola tremenda, che deforma la propria realtà, spinge a vivere in funzione del giudizio altrui: per Vittoria quel giudizio è il solo veicolo della sua sicurezza e del suo equilibrio.
Quando le cose non vanno, quando affiora un ricordo che fa male, quando non si hanno abbastanza soldi per vivere, il cibo è la risorsa, il conforto per coprire il dolore, per gonfiarsi fino a star male, fino a ritrovarsi unta, sporca, e piena. Riempiendosi, Vittoria non sente i rumori della sua mente.
“È allora che vomita?, domanda.
Io non vomito mai, le rispondo. Ho paura che pure quel dolore, così, se ne possa andare.”
La distorsione è totale davanti allo specchio, perché Vittoria, come molte donne, non conosce le mezze misure, non accetta le imperfezioni. Contano i chili, conta non sembrare più grassa agli occhi di un’amica, della madre che è stata una donna bellissima, ed è giudicante come il fratello Paolo, che la considera inadeguata a tutto, una fallita. I chili definiscono l’idea che Vittoria ha di sé, sono i numeri che cambiano quando si ingozza di pizza, e quando digiuna in vista di un appuntamento, un suo modo di prepararsi, una strategia di pronto soccorso, un modo in più per farsi male.
Quando scopre che la fotografia è un modo per camuffarsi agli altri, migliorandosi, l’alterazione della sua realtà si completa: perché su Instagram può apparire davvero più bella, può mostrare solo scorci del suo corpo, pose studiate, filtri scelti con cura, per una sé fittizia.
Vittoria è fotogenica, e lo vive come una condanna: perché vuol dire che la vera sé è sempre peggio della sua immagine. E allora è l’immagine quella da mostrare, che copre la ciccia, copre le lentiggini, copre la verità. La fotogenia come protezione: tutto per un commento benevolo, per i like che diventano un’altra cosa da contare, insieme ai chili, diventano un nuovo parametro del proprio valore. Cercare una rispondenza attraverso lo specchio deformato dei social porta Vittoria a una frattura netta tra realtà reale e realtà perfetta. I follower salgono, complice una foto con un personaggio pubblico prima, selfie ironici con street food, poi. Vittoria inizia a essere cercata, a ricevere pacchi di prodotti da promuovere, roba in regalo per lei che è cresciuta con una madre che rateizzava tutto, post in cambio di soldi, truccatori che la mascherano per la recita.
“Era l’inizio di un allontanamento. Quello che ero rimaneva indietro, quello che immortalavo e pubblicavo allungava il passo, guadagnava terreno, mi doppiava. Infine, vinceva. Come il fondotinta sulle lentiggini.”
Sembra tutto facile, arrivano regali, lei si fotografa, la pagano, i follower crescono. Non serve nemmeno più vivere, succede tutto sul cellulare: ed è in quel momento che la dipendenza raggiunge il suo apice.
E mentre la Vittoria “perfezionata” diventa una benvoluta influencer di food, con il frigo zeppo di pizze da scongelare, la Vittoria vera si butta via in una relazione tossica, nella quale cerca approvazione. Ma è anche questa una forma distorta di specchio nel quale cercare una sé che non esiste: la sua idea di amore è legata anche questa alla sua forma di dipendenza, perché è solo nella conferma di un uomo che Vittoria si sente davvero “senza peso”, quasi perfetta, mentre la sua voragine di frustrazione aumenta, insieme alle mortificazioni, confermando la sua vocazione al dolore e al masochismo. La sua fame d’amore la porta ad accettare non solo il cibo spazzatura, ma anche un rapporto spazzatura, col quale si ritrova ugualmente sporca e mortificata, una Vittoria fasulla e inadeguata.
Il suo corpo lievita, lei perde il controllo di tutto, perde la geografia della sua esistenza: nella realtà perfetta, che non ammette chili di troppo, il suo corpo che già mostra solo a pezzi, progressivamente scompare: troppa la paura dei commenti malevoli, delle critiche, fanno più male della bilancia, o dei test della nutrizionista.
Privandosi del palcoscenico social, legittimando la sua libertà di lasciarsi andare, Vittoria scende sempre più giù, in un punto buio dove non esiste alcuna rispondenza tra lei e la sua immagine riflessa, nello specchio e nello schermo del suo telefono. Semplicemente, Vittoria scompare. Ed è solo così, disconnessa dalla finzione, che comincia il suo cammino, che rappresenta la possibilità di scegliere finalmente se stessa.
Quello di Valentina Farinaccio è molto più di un romanzo sulla generazione iperconnessa: Non è al momento raggiungibile è un racconto tagliente del difficile cammino verso la propria accettazione, un flusso di coscienza sincero e claustrofobico che dalla distruzione disegna una possibile costruzione di un equilibrio che non dipende dagli altri, ma da noi, reali e imperfetti, in un mondo pieno di difetti.
“Mangiare tutto, oppure niente. Avere un padre, oppure non averlo. Cinquecentomila follower, oppure sparire. Lei si è accomodata per una vita nel dolore, nei suoi eccessi, e invece aveva solo dimenticato le mezze misure.”
Francesca Cingoli
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