In quegli anni, la natura aveva smesso di tracciare i propri confini. Le città e le province erano semplici etichette. Erano le famiglie, e solo loro, a comandare e a segnare le appartenenze.
A Fosco è la famiglia Rusto a comandare, con Totonnu che definisce ciò che è giusto e ciò che è sbagliato dalla sua macelleria, e i gnuri con lui. Il paese obbedisce anche quando non capisce, come il divieto di scendere a mare. La spiaggia è negata, “non si può e non si deve fare”.
A Fosco la disobbedienza è un fatto privatissimo.
Per Irene, nipote di Totonnu, disobbedire è sognare, immaginare un mondo possibile, una Fosco con comignoli e con una scala verso il mare. Un paese colorato, dove essere fìmmina voleva dire uguale a masculu.
Irene ha quaderni arancioni che riempie di disegni, composizioni e collage. Il suo mondo, a fogli ruvidi: le sue visioni sono i suoi desideri.
Quando incontra Rocco, riconosce in lui il suo stesso sguardo, il bisogno di fuga, e di calore. Si amano, Irene e Rocco, di attimi rubati, baci nascosti in sacrestia, balconi da scalare come amanti shakespeariani. Anche il desiderio deve chiedere il permesso a chi comanda, fare l’amore e figliare sono modi di esistere per una donna, e per un uomo sono metodi di alleanze: Rocco è figlio di un infame, un traditore. Ma ha sentimento, e con Irene immagina un futuro, e sogna.
«Com'è fatto il mare?».
«È una casa senza pavimento, fresca d'estate e accogliente d'inverno».
«Hai mai visto la fine del mare?».
«Non esiste la fine del mare».
«Com'è fatto il cielo?».
«È un pane di olive e stelle».
Quando la famiglia dei Lorida minaccia il potere dei Rusto e scatena una guerra, Totonnu anticipa la salita in montagna per l’uccisione del maiale. Sono i giorni dell’abbondanza, e sono quei giorni e quelle notti, tra feste, macellazioni e preghiere, a decidere il destino delle famiglie e di tutta Fosco.
Dopo, nulla è più uguale: chi se ne va, cercando la propria strada e la propria dignità, chi resta e si perde, nella vendetta e nella violenza, chi prova a ricostruire una vita possibile, tra le macerie di un passato. In un presente senza futuro, la nuova disobbedienza è poter scegliere.
Dopo il successo di Quella metà di noi, che è stato candidato al Premio Strega 2019, la Giulio Perrone ripropone Le tre notti dell’abbondanza che Paola Cereda scrisse nel 2016: una grande riscoperta, una scrittura dura e poetica insieme, e uno straordinario ritratto di donne, fìmmine forti in un mondo violento e corrotto. Il messaggio non è solo visionario e inventivo ma concreto e parla di libertà, di sognare ma anche di cambiare, reinventandosi per essere quello che si è e non quello che gli altri vogliono. In questa libertà di sogno e di vita c’è un senso molto forte di identità e di profondità emotiva, che la Cereda costruisce raccontando una storia che insieme è fatta di ndrangheta, di sensualità, di ribellione, e di fantasia. Il risultato fonde l’orrore della violenza alla delicatezza dei primi amori, e tocca il cuore.
«Inutile. Certi dolori mi accompagnano».
«E lo stesso anche per me».
«Mi manca la tua capacità di volare».
«Io non sapevo volare».
«Lo dici tu».
Recensione di Francesca Cingoli