Oggi diremmo che Antonio Canova era un perfetto gestore della propria immagine, favorito in ciò dalla discrezione, quasi riverenza, con cui i suoi contemporanei si avvicinavano a lui. Anche per questo la mostra "La mano e il volto di Antonio Canova: Nobile semplicità serena grandezza" finisce con il proporre, accanto ad un'analisi sulla psicologia dell'artista, una interessantissima disamina su come, già in vita, e molto presto, egli abbia saputo porsi e diventare "mito", personalità grandissima in sé, oltre che per quanto andava creando nella scultura e nella pittura.
L'esposizione, organizzata dalla Fondazione Canova, presieduta dal sen. Gian Pietro Favaro e sotto la direzione di Mario Guderzo con la collaborazione di un Comitato scientifico composto da Giuseppe Pavanello, Anna Maria Spiazzi, Gabriella Delfini, Andrea Dal Negro, Marcello Cavarzan e Giancarlo Cunial, riunisce, ed è la prima volta, la quasi totalità della produzione ritrattistica canoviana, sia che si tratti d'autoritratti che di ritratti su olio o marmo realizzati da altri, italiani ma soprattutto stranieri, a conferma di come il mito sia presto diventato universale. Forse i più sinceri sono proprio quelli che il maestro realizzò su se stesso, sette in tutto, in cui si propone "in veste di scultore" o di pittore, utilizzando il disegno su carta, la pittura, il gesso e, naturalmente, il marmo. Autoritratti che non erano solo ad uso personale, che avevano una loro committenza e che oggi sono sparsi tra Possagno, Roma, Venezia e Firenze. Colpisce il realismo di queste opere, la capacità introspettiva del maestro, la sua scelta di rappresentarsi certo in veste di artista di successo che non occulta però l'uomo vero.
Durante tutta la vita, Canova fu a contatto con moltissimi artisti che, come nell'uso del tempo, erano soliti offrire anche a titolo di scambio l'esecuzione di ritratti. Tra questi rapporti è del tutto particolare quello con l'artista inglese Thomas Lawrence che incontrò nel 1815 Canova a Londra e che durante un successivo soggiorno romano gli consegnò un ritratto che il maestro inglese ripropose in diverse versioni e che fu molto copiato (in mostra ve ne saranno ben sei, provenienti, tra l'altro, dal Museo Correr, dal Museo di Santa Caterina di Treviso, dalla pinacoteca di Brera, dal Castello del Buonconsiglio di Trento e da alcune Collezioni private).
Il mito del "Sommo Canova" stimolò un gran numero di artisti, da Andrea Appiani ad Angelica Kauffmann, da François Xavier Fabre a Johann Anton Pock, da Luigi Zandomeneghi a Jean Baptiste Wicar, da Rodolph Suhrlandt a François Gerard, a Gorge Hayter, ad Antonio D'Este a Giuseppe Bossi, a John Jackson e a numerosi altri, opere queste che diventarono patrimonio di musei di tutta Europa, a testimonianza della fama che Canova, in vita e dopo, aveva saputo conquistarsi. In molte di queste opere sembra che gli artisti, pur di primo piano, si siano avvicinati a lui "con discrezione e trepidazione ... cercando di scoprire il pr