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“La nostalgia è archeologia: studia i resti e li interpreta. Però, invece di applicare un metodo scientifico, si nutre di un tipo di memoria tendenzioso.”
Quando i grandi autori mettono sulla carta se stessi e i propri pensieri più intimi, fanno al lettore un regalo di grande generosità.
È quello che ha fatto Sergi Pàmies con il suo L’arte di portare il soprabito, 13 storie nelle quali si racconta con frammenti di vita che dicono tutto, descrivono un universo, in un misto di malinconia e ironia. Non teme di svelarsi troppo, l’autore, che riesce a fare finzione elevando il concetto di autobiografia, spezzando il suo sé in protagonisti che parlano la sua voce e creano un puzzle vitale e onesto dell’esistenza.
Senza un andamento cronologico, Pàmies asseconda il flusso spontaneo della mente e delle emozioni, così come fanno i ricordi che arrivano in schegge e aprono porte, rilasciando immagini e riflessioni.
L’autore spagnolo definisce così la sua scoperta del mondo in pagine che sono spazi di sincerità, di accettazione di sé, a tratti umoristiche e profondamente umane.
“A mia madre piaceva ripetere che il vantaggio di essere scrittore è che tutto ciò che vivi è suscettibile, prima o poi, di convertirsi in letteratura”.
È un’esplorazione coraggiosa, l’ammissione delle proprie debolezze, di chi riconosce le sue colpe in amore, la sua ferma volontà di accogliere la responsabilità dell’altrui felicità. Il matrimonio è un viaggio nel quale il bagaglio è pesante, la bilancia pende spesso dalla parte sbagliata, e confessare le proprie inadeguatezze è arduo, come guardare una fotografia che ferma l’immagine del proprio difficile equilibrio, un’istantanea di consapevolezza del decadimento della noia.
“Quando ci conoscemmo, improvvisavamo, Perciò prevedo che, in questa fase di disamore che abbiamo appena inaugurato, dovremo essere più rigorosi e non potremo farci accecare dai capricci della spontaneità. E la convinzione che ci sarà molto più amore in questa rottura che nel declino che l'ha preceduta agisce, non so perché, come un analgesico.”
Maturare e diventare adulti è anche costruire un rapporto con i figli che è pieno di prudenza, delicatezza e molto anticipo.
Figlio di due grandi personalità, della cultura e della politica del suo paese, Sergi Pàmies elabora il ricordo della madre che non può più scrivere, pagine piene di commozione, per l’inesorabilità della vita. La scoperta della vecchiaia dei genitori è delicata e sofferta come per un bambino la vista dei finti Babbo Natale, momento di rottura dell’infanzia e delle sue illusioni.
L’omaggio al padre è invece ironico e percorre il legame stretto con la storia politica del paese. Emerge il ruolo familiare di un uomo forte e non facile, “desacralizzato” dai cambiamenti del contesto nazionale postfranchista, al punto da far partorire al figlio la fantasia di una paternità alternativa, una finzione ribelle rappresentata dallo scrittore Semprún capace di vestire il soprabito con la stessa eleganza e leggerezza che la madre amava in suo marito.
Pesano sui propri ricordi e sul senso stesso della propria vita episodi scioccanti, come l’11 settembre: ma la storia si vive e si interpreta nella propria normalità, così il personaggio recepisce il panico e l’incertezza scaricandolo su una raccolta compulsiva di antibiotici, in giro per farmacie in una notte piena di paura e di egoismo angosciato.
Nel complesso i frammenti letterari di Sergi Pàmies parlano della realtà e delle sue aspettative, e risuonano non come confessioni ma come specchi nei quali vedere noi stessi, le nostre ordinarie e umane mediocrità: L’arte di portare il soprabito è un punto di osservazione intelligente, vero e dettagliato della vita, e Sergi Pàmies uno scrittore che è insieme un raffinato indagatore dell’uomo, e un coraggioso archeologo dei sentimenti, in grado di fare grande finzione dalla normalità.
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