Alla XIII edizione di Documenta (2012) – mostra d'arte contemporanea di grandissimo rilievo e prestigio – è stato invitato a partecipare anche Enrique Vila-Matas, la cui performance doveva consistere nel farsi trovare presso il ristorante cinese stabilito dall'organizzazione, intento a svolgere il suo lavoro, cioè a scrivere. In sostanza, gli veniva chiesto di diventare un'istallazione, un'opera d'arte. Il libro – il cui titolo ricalca una celebre frase di Calvino su Torino (città che inviterebbe al rigore e alla linearità) – è dunque il resoconto dell'esperienza autobiografica a Kassel; un libro di viaggio, un diario e un romanzo in cui l'autore si sdoppia, e che è soprattutto un'opportunità di riflessione sui temi a lui cari, quali il ruolo dell'arte e l'essenza dell'avanguardia. Il fascino del libro risiede soprattutto nella cifra leggera, ironica e generativa con cui l'autore si immette in un circuito da lui poco frequentato e spesso liquidato snobisticamente, e negli occhi liberi da pregiudizi o costruzioni interpretative con cui si accosta alle opere d'arte contemporanea che a Kassel sono esposte o hanno vita, compresa quella da lui interpretata. In un andirivieni di momenti di riflessiva nostalgia e di incontrollabile euforia, Vila-Matas prosegue sulla linea già tracciata dall'ultima raccolta di racconti, Esploratori dell'abisso, e trova nel piacere dell'immersione nell'arte le ragioni ultime, e le più solide, per scrivere e per vivere. Si tratta dunque di un libro divertente, pervaso da un'euforia contagiosa, scritto con maestria e intelligenza, della cui lettura beneficeranno non solo i conoscitori della sua parabola letteraria, i frequentatori del mondo dell'arte contemporanea, ma soprattutto chi per la prima volta si accosta a Vila- Matas, che in questo libro ha trovato un sapiente equilibrio.