È il solstizio d'estate, giorno in cui «si dice che la barriera tra i due mondi si assottigli», quando Olivia Laing, per superare una crisi depressiva che la attanaglia, decide di partire. L'acqua esercita su di lei un'attrazione istintiva: l'acqua placida di un particolare fiume del Sussex, l'Ouse, dove nel 1941 Virginia Woolf, dopo aver riempito di sassi le tasche del cappotto, si lasciò annegare. Percorrerlo diventa più di una semplice gita; da quelle sponde fangose e inaccessibili defluiscono le più diverse storie. Guerre del XIII secolo, cacciatori di dinosauri dell'Ottocento, la vicenda di chi, sotto questa superficie, perse la vita: lo spettro di Virginia Woolf che esonda in queste pagine è, insieme ad altri illustri fantasmi - Shakespeare, Omero, Auden -, compagno di viaggio instancabile che guida la scrittura poetica di Olivia Laing. Il risultato è un libro che rifiuta di essere arginato: un fiume in piena, sinuoso e alimentato da tanti affluenti - racconto, riflessione sul paesaggio, memoir, saggio biografico -; un oggetto letterario impossibile da incanalare, che ci trascina come corrente nel profondo dell'anima di una grande scrittrice.