Per una concatenazione di casi difficili da sbrogliare, erano affondati nello stesso posto nello stesso mo¬mento.
Alejandro è arrivato in Francia dalla Colombia: la sua famiglia è facoltosa, e la possibilità di studiare in Europa è una bella opportunità per costruirsi un futuro importante. Ma la realtà è che in Occidente Alejandro non trova nulla, trova solo la povertà. Un colombiano espatriato non vale nulla nel mondo di adesso, rimane solo un immigrato e l’Europa non crea tutte le opportunità di cui si vanta. L’Europa vuole forza lavoro ma non vuole viverci accanto. E Alejandro passa le giornate alle prese con l’inconsistenza, nevrotico, senza un soldo, senza avere nulla con cui passare il tempo se non la masturbazione e un po’ di musica. Incontra Aurélie che ha vent’anni come lui, è francese ed è povera.
Aurélie frequenta anche lei l’università, in un faticoso tentativo di liberarsi del destino dei suoi genitori, una vita pacifica e insapore da operai. Una laurea può darle una possibilità, un’emancipazione, un avvenire professionale.
Si era applicata, era stata disciplinata, rigorosa e aperta di mente. Non aveva paura del lavoro intellettuale, né delle difficoltà fisiche. Aspirava sinceramente alla emancipa¬zione sociale, aspettava che succedesse qualcosa. E non stava succedendo niente.
L’università, si accorge Aurélie, è solitudine e disagio: la borghesia che la circonda non la accoglie, e il sistema universitario incoraggia l’ascesa dei medi. La medietà messa a regime è il volto della società, che sacrifica i competenti alla stessa stregua degli incapaci.
Non c’è posto per Alejandro e Aurèlie che si ritrovano ai margini, relegati a lavori di bassa categoria.
Qualcosa devono avere sbagliato, questi ventenni destinati alle retrovie della società, eppure si erano attenuti alle regole della Repubblica.
Hanno lottato, studiato, fatto i concorsi, lasciato le case dei genitori per studiare a Grenoble, a Parigi, faticando negli ostelli, cercando connessioni gratuite per affacciarsi al mondo. Non è servito a nulla: il mondo non è più quello dei loro genitori. La repubblica li ha rigettati. E loro si sono piantati.
Era il grado zero della sofferenza, un lato b dell’esistenza.
Giovani senza prospettiva in una società frettolosa, cinica e sorda: questi sono ragazzi falliti già a vent’anni che non hanno una possibilità, che rimangono negli atri, senza poter salire ai piani alti, che passano ore sui treni per raggiungere un posto di lavoro senza senso né futuro, che consegnano pizze, che dividono appartamenti per tirare avanti. Sono elementi senza volto di un meccanismo che solo continuandosi a muovere va avanti, senza nulla concedere.
Si annebbiano fumando e sognando: Viaggiava con la mente, tentava di sognare il suo avvenire professionale, poi tornava all’improvviso alla re¬altà con un brivido e un terribile senso di solitudine, tutto il suo essere faceva acqua.
Questi ragazzi non conoscono nemmeno la serotonina di Houellebecq, loro possono solo andare a fondo, senza desideri, senza prospettive, ossa congelate a vent’anni. Tutta la vita davanti: e davanti non c’è nulla.
C’è tutto il malessere dell’ex classe borghese in questo feroce e bellissimo romanzo di Marion Messina, che è ambientato in Francia ma appartiene a tutto l’Occidente, reo di aver consegnato ai propri figli un mondo ostile, senza sicurezze economiche, senza lavoro, senza accettazione sociale.
Un mondo che riesce a far sentire estraneo chiunque, ma intanto sventola le bandiere dell’impegno civile, della cultura sociale e del volontariato. Che manifesta per Ingrid Betancourt ma poi non dà una possibilità a un ventenne colombiano che vuole lavorare.
Un mondo ipocrita e cinico, perennemente connesso ma pronto a sacrificare i più deboli sull’altare della nullità.
Cittadino del mondo era l’ultimo capriccio di un popolo sazio che si muove senza rischiare la vita.
Recensione di Francesca Cingoli