Quel che ho scritto è il racconto di sfide, paure, cadute e risalite attraverso le corse che ho affrontato nei deserti e nei luoghi ostili del pianeta. C'è la mia storia, con fatti accaduti e collegati tra di loro in modo naturale. Dentro questi racconti c'è tutto il mio mondo. Semplice, diretto così come ho vissuto tutti questi anni randagi. Dei deserti amo tutto. Tutto. A volte in modo ingenuo, perché finisco per nascondere i pericoli per inseguire un sogno iniziato nel 2005 e ancora qui, vivo e bello come il sole all'alba in un punto indefinito del nulla. Racconto della Mauritania, dell'Assekrem in Algeria, della Libia. Del Sahara e del Gobi. Ma anche del Karakhum e del Kizilkum. Della sfida folle dal Mar Morto al Mar Rosso, nata da un sogno, da un'idea che sembrava buttata lì così, e finita nella mia storia, nella mia storia di corsa. 468 metri sotto il livello del mare, nel punto più basso della terra. E poi l'Afghanistan, non un deserto ma un luogo che mi ha segnato, spaventato e sorpreso. Ricordo ancora quel giorno e l'appunto che mi ero scritto su un foglio di carta strappato: "Sono qui solo. A farmi compagnia oggi c'è soltanto il vento e la paura. Aspetto di oltrepassare la frontiera con l'Aghanistan. Mi sono fatto tre volte il segno della croce. Anche oggi c'è bisogno di tutto e di ciò che non si vede e che speri che ci sia a sorvegliarti e proteggermi". E poi altri racconti, incontri, solitudine e passione oltre il logico e l'impensabile a portami là dove la mia mente voleva spingermi. La mia vita di corsa, la mia vita lontano da qui, lontana dal quotidiano. Ed è proprio così che ho imparato che la vita vera non è quella che vivo tutti i giorni, nel solito previsto, ma nell'ultimo buco del mondo, dove nessuno mi ha mai spinto e dove nessuno mi ha cercato. Nel deserto della Mauritania, per esempio, non sono Giuliano Pugolotti, residente a Barbiano in provincia di Parma. Sono semplicemente un ultrarunner dei deserti, senza un'età, senza un nome ed un cognome. Senza un perché.