Almeno due generazioni di italiani non hanno un ricordo di Palmiro Togliatti da vivo. Sono passati cinquant'anni dalla sua morte e di Togliatti è forse sopravvissuta un'immagine di uomo freddo, scostante, che portava occhiali da professore, un intellettuale avaro nei sentimenti, un politico scaltro e cinico, troppo filosovietico e ortodosso per ispirare o appassionare. Ma bisogna allora spiegare perché l'Italia proletaria fu pronta all'insurrezione armata quando si attentò alla sua vita e perché milioni di italiani di ogni ceto ebbero il sentimento, nel giorno della sua morte, che con lui se ne andava uno dei padri della Repubblica. "Quegli incredibili funerali! Un milione di persone al seguito del feretro, gente arrivata da ogni parte d'Italia, comunisti e non comunisti, gente che ha preso il primo treno, il primo aereo per vederlo l'ultima volta nella camera ardente dove montano la guardia d'onore i grandi del comunismo mondiale, da Leonid Brežnev a Dolores Ibárruri. Un milione di persone dietro il feretro e altre centinaia di migliaia lungo il percorso da via delle Botteghe Oscure, dove è la direzione comunista, per piazza Venezia, via dei Fori Imperiali, via Cavour, fino a San Giovanni, che salutano con il pugno chiuso o chinando il capo, o segnandosi con la croce, donne e uomini in lacrime come se piangessero un padre. Ma l'uomo che è morto non è colui che ha sempre ritenuto la politica troppo importante per lasciarla fare alla gente semplice? Che cosa è che gli italiani piangono in quell'uomo?" Giorgio Bocca tentò nel 1973 di rispondere a queste domande, lasciandoci una biografia che resta il racconto più appassionante e completo della vita del leader comunista. In occasione di questa nuova edizione, il testo sarà corredato da una nuova prefazione di Silvia Giacomoni.