I libri di Jean-Claude Michéa non passano mai inosservati. Ancora prima di uscire, la critica si divide tra chi non vede l'ora di leggere le nuove, illuminanti parole del filosofo di Montpellier e chi, invece, ne critica le posizioni troppo polemiche. Dato che La fine della sinistra è considerato da tutti il capolavoro di Michéa, ci aspettiamo di sentirne parlare ancora di più. Di fronte a una società sempre più "amorale, piena d'ineguaglianze e alienante", il filosofo critica la distanza con cui la sinistra guarda ai bisogni e alle difficoltà della "gente comune". Che cosa è diventata oggi la sinistra liberale? Secondo Michéa nient'altro che "una caricatura di sé stessa", una frangia egoista che spende tempo ed energie a valorizzare trasgressioni morali e culturali, piuttosto che ad ascoltare i bisogni del fronte operaio e a combattere il cinismo ipocrita della destra di Sarkozy e Copé. Se l'autore è arrivato a mettere in discussione il vecchio schema destra/sinistra, ritenendolo ormai una mistificazione, è perché il compromesso storico siglato dopo l'affare Dreyfus ha ormai esaurito tutte le sue qualità positive. La sinistra, oggi, non è più il fronte popolare di liberazione, ma un caos di divisioni e guerre personali. La sinistra, dice polemicamente l'autore, non è diversa dalla destra. Con una prosa veloce, pungente e in certi passi persino esilarante, La fine della sinistra è un testo indispensabile per chiunque cerchi una lucida interpretazione dello sviluppo del pensiero filosofico e politico. Un libro che, spaziando dalla storia del socialismo alle idee di Lasch, Guy Debord e Marx, mostra in controluce tutte le contraddizioni della sinistra europea: un partito diviso ed egoista, che ha perso il potere di unire le persone.