Il maggiore John Riley, accudito dalla ex guerrigliera e fedele Consuelo in un'umile casa di Veracruz, è fra i pochi sopravvissuti di una guerra che ha devastato il Messico. Nel 1846 l'esercito degli Stati Uniti usò come pretesto l'annessione del Texas e occupò, in circa due anni di battaglie, oltre al Texas, gli stati di California, Utah, Colorado, Nevada, Arizona, New Mexico. Il conflitto registrò un fenomeno singolare: buona parte degli irlandesi arruolatisi nelle file statunitensi disertò per unirsi all'esercito messicano. Tra questi, il tenente di artiglieria John Riley, che formò il Batallón San Patricio, destinato a infliggere gravi perdite alle truppe dei generali Taylor e Scott. Considerati non solo disertori ma simbolo del supremo tradimento, dopo l'ultima battaglia nei sobborghi di Città del Messico, i vincitori si accanirono con inaudita ferocia sui pochi soldati e ufficiali del San Patricio superstiti: dopo averli sottoposti a flagellazione e marchiatura a fuoco (come il bestiame) con la lettera "D" di deserter sulla faccia, li impiccarono. Tutti meno uno, il tenente Riley. Per Riley il Messico era stato un luogo che aveva potuto chiamare "casa mia". E ora, dopo le battaglie, torna l'onda epica della memoria, l'orrore delle stragi e, insieme, il ricordo della bella conflittuale amicizia fra Riley e il capitano Aaron Cohen, ufficiale di West Point. Cohen e Riley, sodali anche nel patire le angherie della vita militare, sono le due facce di una stessa medaglia: da una parte l'uomo che continua fermamente a credere di voler "costruire un grande paese democratico", dall'altra il ribelle che matura la scelta senza ritorno di combattere con i perdenti: per dignità, per rabbia, per sangue caldo irlandese.