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«"Lo vede questo, dottore?" mi disse Barbara indicando con un cenno della testa il neonato che piangeva fra le sue braccia. "Si chiama Giulio, è un suo errore." Ebbi un momento di smarrimento. I rumori del reparto si erano fatti di colpo lontani, confusi, i vagiti si mescolavano al trambusto della domenica in un unico, soffuso brusio di fondo.» Il dottor Massimo Segato, ginecologo non obiettore, aveva sbagliato l'intervento di interruzione volontaria della gravidanza e il piccolo era nato. «È stato l'errore più bello della mia vita» confessa oggi, dopo aver visto crescere Giulio.
Alla commovente vicenda del bambino che non doveva nascere, si alternano nel suo racconto le storie non meno struggenti di alcune delle donne che ha incrociato nel corso di quasi quarant'anni di professione esercitata al Servizio Interruzioni dell'ospedale vicentino di Arzignano quando faceva parte di una équipe osteggiata da una terra profondamente cattolica: l'«Equipo de la muerte», come l'avevano ribattezzata gli antiabortisti.
In queste pagine Segato per la prima volta confessa i dubbi e le difficoltà del suo delicato e lacerante lavoro, e parla di quelle donne e dei loro segreti: ragazze inconsapevoli, amanti incinte, giovani stuprate. Sono storie di dolore, di figli mai nati, ma sono anche storie coraggiose di profondo amore, come quello di Caterina e Lucrezia per i loro bambini malformati e voluti. Ci sono le paure delle ventenni, le preoccupazioni delle quarantenni, il ruolo degli uomini. E le ripercussioni psicologiche sulle scelte fatte, che a volte emergono a distanza di anni.
Su tutto grava il peso del dubbio che non lo abbandonerà più: «Ho conosciuto migliaia di donne disperate e ho sempre pensato ai loro drammi, alle loro vite. Le ho ascoltate e aiutate. Un giorno ho però iniziato a udire anche la voce dell'embrione. E ho visto una realtà diversa che ha insinuato nella mia mente dei dubbi. Quanti bambini come Giulio non avevo fatto nascere? Ma poi subentrava la ragione, che nel mio caso ha un grande potere. Sono laico, non sono credente. Cercavo una coerenza rispetto alla scelta fatta. Mi sovvenivano così altri, opposti pensieri nei quali cullare il lavoro di tanti anni: "Se non intervengo io lo farà qualcuno, clandestinamente, e quella donna rischierà la vita. La legge c'è, devi solo applicarla, senza porti tante domande. Lo fai per salvare lei...". Prima pensavo una cosa, poi un'altra. Prima la donna, poi il bambino, poi di nuovo la donna. Avrei voluto salvare entrambi, ma non era possibile».
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